Un venerdì con giallo dopo una settimana durissima per Theresa May. Prima, in mattinata, la convocazione straordinaria che aveva fatto pensare a un imminente avvio della procedura sulla mozione di sfiducia contro la premier britannica, poi l’annuncio dell’annullamento dell’incontro.
Ma dopo la tempesa del 15 novembre – che ha visto il Governo prima approvare l’accordo sulla Brexit salvo poi perdere tre ministri e un sottosegretario – il giorno dopo c’è un raggio di sole per May: il ministro dell'Ambiente, Michael Gove non si è dimesso. Sono, pertanto, smentite le indiscrezioni circolate al riguardo dopo il suo presunto rifiuto di sostituire Dominic Raab come ministro per la Brexit.
May è così riuscita ad avere i numeri per respingere la ventilata mozione di sfiducia contro di lei. Infatti Gove, secondo i media britannici, oltre a non essersi dimesso avrebbe convinto altri quattro ministri "brexiteers" a restare nel Governo: il titolare del Commercio con l'Estero, Liam Fox, quello dei Trasporti, Chris Grayling, quella dello Sviluppo Internazionale, Penny Mordaunt, e quella dei Rapporti con il Parlamento, Andrea Leadsom.
D’altronde far cadere l'esecutivo lascerebbe libera la poltrona più ambita, ma chi accetterebbe di diventare premier (o andare a nuove elezioni) in un momento nel quale è troppo tardi per negoziare un nuovo accordo con l’Ue? Chiunque (conservatore o laburista) prenderebbe ora il posto di Theresa May rischierebbe di durare poco e non essere rieletto alla prossima tornata.
E, poi, secondo numerosi economisti una Brexit senza accordo aprirebbe per il Paese scenari macroeconomici, quantomeno nel breve-medio periodo, peggiori rispetto all’accordo May. Tuttavia, si torna a discutere se non sia meglio un "no-deal" a questo punto. E le voci che corrono sono autorevoli. Secondo il Financial Times, tra gli altri, l'intesa raggiunta non va bene.