Nei giorni scorsi un messaggio su Wechat è stato inviato a tutti i membri della diaspora cinese in Repubblica Democratica del Congo (Rdc). L’ambasciata cinese a Kinshasa ha ordinato ai suoi cittadini e alle aziende presenti nelle province del Nord Kivu, Sud Kivu e Ituri di evacuare il prima possibile la parte orientale del Paese per gravi preoccupazioni circa la sicurezza dei cittadini cinesi residenti in quei territori. Si tratta di un’area in cui le imprese cinesi lavorano per nutrire l’appetito della madrepatria di risorse minerarie, in particolare cobalto, rame e terre rare.
Un iperattivismo che ha tuttavia alimentato una crescente sfiducia tra le aziende cinesi e le comunità locali, le quali accusano da anni le prime di non rispettare le normative ambientali, sull’inquinamento dei fiumi e sullo sfruttamento della manodopera locale. È così che la diaspora cinese in Congo sta rimanendo sempre più isolata.
Evacuare le imprese che operano nel mercato dei minerali in Congo significa però mettere a rischio un segmento industriale enorme, con ripercussioni a livello globale, considerando l’attuale crisi dei semiconduttori. La Rdc è infatti la più grande produttrice al mondo di cobalto, minerale fondamentale (ad esempio) per la produzione di batterie al litio, e la Cina il più grande acquirente del mondo di questo minerale: dal Congo si esportano 100.000 tonnellate l’anno di cobalto (dalla Russia, seconda nella classifica globale, poco più di 6.000 tonnellate), dirette quasi tutte al porto di Shanghai al costo di 62.000 dollari a tonnellata.
Il governo congolese amministra le miniere di cobalto sotto monopolio di Stato e ha istituito a marzo la società pubblica Entreprise Generale du Cobalt per acquistare, lavorare e commercializzare tutto il cobalto artigianale prodotto nel Paese, che i minatori di solito scavano a mano e vendono a intermediari non regolamentati, molti dei quali cinesi. Le miniere di cobalto non artigianali invece sono quasi tutte in mano alla Congo DongFang International Mining, controllata dalla Huayou Cobalt di Shanghai, società che tra i suoi clienti più conosciuti ha, ancora oggi, la statunitense Apple Inc.
E ciò spiega come nella Repubblica africana la violenza, l’impiego di lavoratori minorenni, le condizioni di lavoro proibitive e le paghe misere sono nelle nostre tasche e case: smartphone e computer, ad esempio, sono fatti anche con cobalto e minerali estratti da schiavi, venduto ad aziende cinesi e infine lavorato per altre imprese tech di tutto il mondo.