Su Donald Trump, 77 anni, soli tre meno di Joe Biden che, quando appare sulla Fox News, viene sistematicamente sottotitolato con riferimenti a senilità e demenza, pesa l’incriminazione federale da poco ricevuta a Miami.
L’ex presidente ha cercato di ridurne pressione mediatica con il bagno di folla in un ristorante di Little Havana, martedì, poco dopo aver lasciato il tribunale e poi, in serata, con il discorso pronunciato nel suo club golfistico di Badminster, in New Jersey: si è presentato di nuovo come vittima di una persecuzione politica.
Ha nuovamente coperto di insulti Jack Smith, il procuratore speciale che lo ha incriminato. Tecnicamente Trump è stato arrestato e rilasciato, senza manette, foto segnaletiche, cauzioni né limiti di spostamento (mantiene il passaporto).
L’immagine del perseguitato rende sul piano elettorale: i sondaggi post incriminazione federale fanno salire ulteriormente, oltre quota 60 per cento, il gradimento dei repubblicani per lui. Il suo unico, al momento, reale avversario a destra, il governatore della Florida Ron DeSantis, scende verso quota 20 per cento.
Ma le questioni giudiziarie, con il (limitato) rischio di finire un giorno dietro le sbarre, pesano comunque: a differenza dell’incriminazione di New York per reati finanziari, stavolta le accuse sono pesanti e ben argomentate.
A questo punto, per “The Donald” c’è un percorso obbligato: tornare alla Casa Bianca, l’unico modo certo per non rischiare di finire in galera. Difficilmente, infatti, i processi appena impostati si concluderanno con sentenze definitive prima delle presidenziali del novembre 2024.
Dopo potrebbe assegnarsi lui stesso la grazia dalla Casa Bianca. O, forse, otterrebbe il perdono presidenziale anche da un altro eletto: repubblicano o anche democratico (in quest’ultimo caso Trump, per il partito di Biden, non sarebbe infatti più un avversario temibile). Ma dovrà puntare sul fatto che i tempi della magistratura statunitense siano più lenti di quelli della politica.