Dialogo ma niente ambiguità. Perché le autocrazie “prosperano” davanti alle “esitazioni”. È la ricetta che Mario Draghi sciorina a New York alla platea della 57ma edizione dell’Annual Awards Dinner della ‘Appeal of Conscience Foundation’, la fondazione che gli conferisce il premio World Statesman (statista dell’anno).
Joe Biden ringrazia il premier per la sua “leadership” e per la “voce potente” che ha avuto nella promozione dei diritti umani. E ancora più sentite sono le parole di Henry Kissinger: “Il suo coraggio e la sua visione faranno sì che resterà con noi a lungo”, dice l’ex segretario di Stato americano oggi 99enne.
“L’invasione russa dell’Ucraina rischia di inaugurare una nuova era di polarizzazione, un’era che non abbiamo visto dalla fine della guerra fredda. La questione di come trattiamo con le autocrazie definirà la nostra capacità di plasmare il futuro comune per molti anni a venire”, ha detto Draghi.
Il capo di Palazzo Chigi ha anche ricordato che “l’eroismo dell’Ucraina, del presidente Zelensky e del suo popolo, ci ricordano in maniera potente ciò in cui crediamo, ciò che rischiamo di perdere. Soltanto l’Ucraina può decidere quale pace sia accettabile, ma dobbiamo fare tutto quello che possiamo per favorire un accordo quando finalmente diventerà possibile”.
Nonostante la “tristezza” di questi tempi, Draghi si professa comunque ottimista: che la Russia possa “tornare alle norme che ha sottoscritto nel 1945” e che l’Ucraina possa trovare quella “pace” che non bisogna smettere di cercare. “Solo la cooperazione globale - ha concluso - può aiutare a risolvere i problemi globali, dalla pandemia ai cambiamenti climatici”.