La coalizione di governo guidata da Shinzo Abe vince le elezioni per il rinnovo di circa la metà dei seggi del Senato. Il premier giapponese ottiene di nuovo la maggioranza, ma il risultato gli preclude la possibilità di far passare agevolmente la riforma della Costituzione, suo obiettivo dichiarato.
I liberal-democratici, assieme al partito alleato di centrodestra, Komeito, ottengono almeno 66 seggi dei 124 seggi disponibili nella Camera alta, contro i 43 dell'opposizione. L'alleanza conservatrice rimane quindi lontana dalla soglia dei due terzi dei voti necessari in entrambe le camere del Parlamento per la revisione della Carta fondamentale, che non è mai stata modificata dal 1947.
Il primo ministro giudica prioritaria la modifica dell'articolo 9: lo scopo è dare legittimità alle forze di Autodifesa, rendendole più funzionali agli attuali equilibri geopolitici. Abe vorrebbe cancellare dalla Carta l'obbligatorietà del pacifismo. Un cambiamento che andrebbe a infrangere un tabù che risale alla Seconda guerra mondiale, finita con l'atomica su Hiroshima e Nagasaki. Secondo il premier, il divieto di qualsiasi partecipazione del Giappone a conflitti armati è ormai superato dalla storia.
Un tema che tuttavia non sembra aver coinvolto più di tanto i nipponici. Gli ultimi sondaggi mostrano come i cittadini ritengano più importanti argomenti come la riforma delle pensioni (il paese ha l’aspettativa di vita più alta al mondo e i tassi di natalità ai minimi storici) e il controverso aumento dell'imposta sui consumi (dall’8 al 10%), quest'ultima voluta dal governo a partire da ottobre. In tal modo si spiega il parziale successo di Abe.