Mario Draghi, accompagnato a una folta squadra di 6 ministri su 15, è stato in Algeria per discutere un aumento delle forniture di gas. In realtà sono stati siglati 15 tra accordi e memorandum di intesa. Un vertice cha arriva a pochi mesi da un’altra visita del premier, che aveva portato alla firma di un ‘partenariato strategico ed energetico’. E, difronte alla notizia, in molti hanno esultato: se arriva più gas, in questa fase, è senza dubbio una buona notizia.
Negli ultimi mesi, intanto, il paese nordafricano ha sostituito la Russia come principale fornitore dell’Italia. Da parte sua, però, Algeri è consapevole di poter negoziare da una posizione di forza. E tutta lascia pensare che non farà sconti. E qui sorge il primo problema (legato al prezzo, destinato a crescere).
Nelle settimane scorse, l’Algeria ha annunciato di voler rinegoziare tutti i contratti in essere con i paesi europei. Non una sorpresa: il ‘gas a pronti’ in Europa attualmente costa 170-180 euro al megawattora, mentre l’Algeria lo vende all’Italia a circa 40 €/MWh (indicizzandolo al petrolio, non al gas).
La stessa posizione di forza permette ad Algeri di usare l’oro blu in chiave politica: ecco il secondo problema. Da novembre del 2021, infatti, l’Algeria ha chiuso uno dei due gasdotti che la collega alla Spagna, quello che passa dal Marocco. E lo ha fatto in ritorsione al riconoscimento iberico della sovranità marocchina sul Sahara occidentale, da tempo sotto il controllo algerino. Attenzione, dunque, a non far irretire il presidente del paese nordafricano.
Anche a un altro aspetto, apparentemente paradossale, occorre porre attenzione. I flussi di gas algerino che raggiungono l’Ue stanno diminuendo. Nella prima metà del 2022 l’Algeria ha inviato verso i paesi comunitari quasi il 20% di gas in meno. E, secondo alcuni analisti, temono si tratti di un calo strutturale.
L’aumento delle forniture all’Italia è dunque frutto di un gioco di prestigio, in cui la Spagna perde ciò che Algeri invia verso lo Stivale. E così Madrid è costretta a virare verso il Gnl, pagando più del quadruplo per gli stessi volumi. Un antipasto di quello che potrebbe accadere il prossimo autunno, quando i 27 paesi potrebbero trovarsi ad affrontare carenze di gas.