L'amministrazione Usa ha diffuso a fine gennaio il celeberrimo “Kremlin Report”. Era stato annunciato come un dettagliato dossier con nomi, patrimoni e misfatti degli appartenenti all'entourage putiniano. Invece, alla pubblicazione, è apparso come un mero elenco di nomi, oltre 200, dei russi più potenti a livello politico o finanziario. “Un copia e incolla dell'elenco telefonico del Cremlino e della rivista Forbes” lo hanno bollato a Mosca che -di rimbalzo- ha invitato Washington a non interferire nelle elezioni presidenziali russe di marzo.
D'altronde, tutta questa volontà di sanzioni alla Russia forse non c'è. Anzi, la realtà sotto la superficie è opposta. Non solo prosegue il dialogo diretto sulla crisi ucraina con gli incontri tra i due plenipotenziari Sukorov e Volker, ma poco prima della pubblicazione del Report una missione dei massimi dirigenti russi per la sicurezza era stato invitata a Washington. La verità, pertanto, è che gli Usa si sono resi conto che, a fronte della complessità dello scacchiere geopolitico attuale e, soprattutto, della pericolosità del terrorismo globale devono abbandonare le loro velleità di dominio planetario, strategia che ha creato tensioni che si sono poi ritorte proprio contro gli statunitensi come per le primavere arabe o colorate, ma piuttosto auspicare una Russia forte e un leader russo forte.