Vladimir Putin ha vinto le elezioni con l’87 per cento delle preferenze, una percentuale che un tempo si sarebbe definita bulgara: è il quinto mandato dopo già 24 anni trascorsi al potere, l’orizzonte ora è il 2030.
Gli altre tre candidati sono stati annientati. Il comunista Nikolai Kharitonov, in seconda posizione, si è fermato al 4,7 per cento, quello di Gente Nuova, Vladislav Davankov, al 3,6 e quello del Partito liberaldemocratico Leonid Slutsky al 2,5.
Lo zar, presentandosi in serata al quartiere generale della campagna elettorale, ha ringraziato i russi per la “totale fiducia”, promettendo che il Paese diventerà più forte e avvertendo gli avversari che “nessuno ci intimidirà o ci schiaccerà”.
Poi, Putin ha lanciato un monito a chi vuole sfidare la Russia: “Non importa quanto abbiano cercato di spaventarci, di sopprimere la nostra volontà, la nostra coscienza, nessuno ci è mai riuscito nella storia. Hanno fallito ora e falliranno in futuro”. Ed ha messo in guarda la Nato che un conflitto porterebbe “ad un passo dalla terza guerra mondiale”.
A sorpresa, ha poi parlato pubblicamente di Navalny nominandolo, un fatto fin qui rarissimo. Ed ha spiegato che aveva accettato di scambiarlo con dei prigionieri detenuti in occidente, ma a patto che non tornasse in Russia.
Ma anche da morto, Navalny continua a dare fastidio al Cremlino. Code di centinaia di persone si sono formate alle 12 (del 17 marzo) davanti ai seggi nel centro di Mosca e in altre città (anche all’estero) in risposta all’appello lanciato dallo stesso Navalny poco prima di morire per il cosiddetto ‘Mezzogiorno contro Putin’.
Tutto si è svolto senza gravi incidenti, anche se la ong Ovd-Info ha segnalato 74 fermi in tutta la Russia, soprattutto per episodi individuali di protesta. Leonid Volkov, l’ex braccio destro di Navalny aggredito a martellate nei giorni scorsi in Lituania, ha affermato che la schiacciante vittoria di Putin “non ha nulla a che fare con la realtà”.