I seggi sono aperti da lunedì 26 marzo fino a mercoledì 28, ma i risultati ufficiali sono attesi per il 2 aprile. Circa 60 milioni di persone si sono registrate e che, con grande probabilità, voteranno in massa per rinnovare la fiducia all’attuale presidente Abdel Fattah Al-Sisi. Di fatto è una corsa priva di ostacoli.
Al-Sisi, che ha assunto la carica di presidente dell’Egitto poco dopo aver compiuto un colpo di stato militare nel luglio 2013, ha sistematicamente eliminato l’opposizione al suo governo. Al-Sisi vinse le elezioni anche nel 2014 ottenendo il 96% delle preferenze, ma in un paese che è il terzo al mondo per numero di giornalisti incarcerati. Il regime è anche ricorso ad arresti di massa, sparizioni forzate e torture per consolidare ulteriormente il potere e intimidire gli avversari.
Nonostante ciò le amministrazioni degli Stati Uniti hanno sostenuto Al-Sisi. Donald Trump lo ha elogiato, definendolo un “ragazzo fantastico”. Obama, invece, non gli ha risparmiato critiche ma alla fine ha prevalso l’importanza dell’Egitto come strategico partner commerciale. Un male necessario.
Presi per il PIL
Anche l'Italia ha profondi rapporti di import-export con il paese africano. Ma gli italiani hanno cominciato a capire che l’Egitto non è soltanto Sharm El Sheikh dopo l’assassinio del ricercatore friulano Giulio Regeni. Che l’Italia diceva di non dover dimenticare, ma che alla fine ha voluto rimuovere dai propri pensieri. Anche perché il livello di esportazioni nette conta di più.