Il Catalogo del Ministero dell’Ambiente ha rendicontato per il 2018 19,8 miliardi di sussidi ambientalmente dannosi (Sad), per il 90% sussidi alle fonti fossili.
I beneficiari sono imprese (per 3,8 miliardi) e famiglie (2,8 mld). Quote consistenti vanno al settore dei trasporti (circa 4 mld), a quello energetico (2,1 mld) e agricolo (1,7). 5,1 mld scaturiscono dal differente trattamento fiscale del gasolio rispetto alla benzina.
Si tratta spesso di sussidi introdotti sulla base di obiettivi sociali condivisibili (come ad esempio quelli concessi alle famiglie per il riscaldamento domestico) o nati per sostenere la competitività delle imprese (riducendo i costi dell’approvvigionamento energetico), in fasi storiche in cui l’attenzione sulle tematiche ambientali era minore.
In altri casi, i sussidi hanno invece creato posizioni di privilegio e di rendita e rappresentano un aiuto ingiustificato a determinati imprese e settori (come nel caso delle esenzioni delle royalties delle estrazioni di petrolio o gas delle compagnie petrolifere).
È certo però che, a fronte di una quantificazione delle spese dirette per lo Stato, non esiste una stima attendibile dei costi sostenuti ogni anno in termini di risorse pubbliche destinate a rimediare alle conseguenze negative delle produzioni sussidiate: emissione di CO2, insorgere di malattie e patologie connesse, costi di ospedalizzazione, bonifiche dei territori, riciclo dei materiali, ecc.
I Sad rappresentano dunque un costo per la società, perché alterano le decisioni di spesa di imprese e consumatori mettendo pressione sulle risorse e sull’ambiente.