Il Ghana è uno dei maggiori importatori mondiali di abiti usati. Nel paese africano giungono tonnellate di indumenti di seconda mano dall’Europa e dagli Stati Uniti. In teoria per essere rivenduti, ma la qualità degli abiti è così scadente che una gran parte finisce incenerita o abbandonata sulle spiagge. Le balle di vestiti provenienti dai paesi ricchi vengono chiamate ‘obroni wawu’ nella lingua locale Twi: “Vestiti dei bianchi morti”. Sulla spiaggia di Korle-Gonno, ad Accra, strati su strati di questi rifiuti tessili sono sepolti nella sabbia.
È la legge della ‘fast fashion’. La ‘moda veloce’ indica il modello di business nato negli anni ‘80 per la commercializzazione di capi di abbigliamento generalmente di scarsa qualità e a basso prezzo. Un modello di grande successo che ha, tuttavia, un grave impatto ambientale sul lato della produzione (l'industria della moda è una di quelle che consuma più energia e acqua sul pianeta), ma anche per lo smaltimento dell'invenduto e di tutto quanto viene gettato dai consumatori a pochi mesi dall’acquisto.
Secondo alcuni dati della Commissione europea, al consumo di prodotti tessili nel Vecchio Continente è attribuito il quarto impatto più elevato sull’ambiente e sui cambiamenti climatici, dopo l’alimentazione, le abitazioni e la mobilità. Ogni anno un cittadino europeo getta in media 11 kg di prodotti tessili. Meno dell’1% degli abiti usati viene riciclato e una grande massa di scarti di abbigliamento sommerge paesi come il Ghana.