Gli elettori di 76 paesi si recheranno alle urne nel 2024. Un anno da record che coincide con un sensibile aumento del populismo, che tende ad addossare le difficoltà economiche alle politiche per affrontare il cambiamento climatico. Una correlazione, in realtà, fuorviante.
Nonostante il potenziale delle iniziative verdi volto ad aumentare i redditi, la produttività e la crescita economica, i progressisti faticano ad articolare una contro-narrazione convincente. Se la falsa dicotomia tra prosperità economica e sostenibilità ambientale persiste, la transizione verde non avrà probabilmente mai il sostegno politico di cui ha bisogno per avere successo, come evidenzia su Project Syndicate l’economista Mariana Mazzucato.
Se si prende ad esempio cosa sta avvenendo nel Regno Unito, dove il Partito Laburista (all’opposizione) ha presentato il Green Prosperity Plan da 28 miliardi di sterline, si intuisce dove sia il problema: da un lato, c’è un presunto strumento chiave per “rendere la Gran Bretagna una superpotenza dell’energia pulita”; dall’altro, mancano argomentazioni strategiche sulle ripercussioni economiche.
Per fare dell’energia pulita il motore delle sue strategie industriali, finanziarie e di innovazione, il Labour (britannico e non soltanto) ha bisogno di una nuova narrazione. Deve dimostrare che un governo orientato alla missione che lavora con le imprese per investire e innovare in modo orientato ai risultati si tradurrà in nuove competenze, posti di lavoro, guadagni di produttività e salari più alti. In caso contrario, possiamo dire bye-bye alla transizione energetica e ambientale.