Ci spostiamo di più e, con noi, gli oggetti. È la globalizzazione del commercio e della mobilità. Ma tutto questo vorticoso movimento causa emissioni nocive per l’ambiente. E nel settore dei trasporti aumentano più velocemente di qualsiasi altro comparto, grazie anche alla costante crescita dell'uso di auto private nei paesi in via di sviluppo.
I governi hanno, dunque, escogitato quella che pensavano fosse la soluzione perfetta: non sarebbe meglio se le auto potessero bruciare biocarburanti al posto di combustibili fossili? Le colture a base biologica non emettono carbonio, deve aver pensato qualcuno. È così che Stati Uniti, primo produttore mondiale di etanolo, e Brasile, leader nel settore dei carburanti sostenibili, hanno cominciato a investire massicciamente sui bio-fuel.
È, tuttavia, un film senza lieto fine. Gli agricoltori, in particolare in Sud America e nel Sud-Est asiatico, sono stati incentivati a impiantare colture per produrre carburante, anziché cibo, causando l’incremento smodato dei prezzi dei generi alimentari. Fino ad arrivare al paradosso: il cambio di destinazione del suolo agricolo, dicono gli esperti, sta causando più emissioni di carbonio di quelle che i biocarburanti sono in grado di ridurre nel campo dei trasporti.
C’è, ora, uno studio che conferma questa valutazione. Un team dell'Ecole Polytechnique Federale di Losanna, guidato da Thomas Guillaume, ha studiato l'impatto ambientale della coltivazione di palma da olio in Indonesia, che insieme alla Malesia rappresenta l'85% della produzione globale, appunto, di olio di palma. E gli esiti sono senza appello: un ettaro di terra convertita equivale all’emissione di 174 tonnellate di carbonio sotto forma di CO2. Per avere un’idea più concreta, corrisponde alla quantità prodotta da 530 persone che volano da Ginevra a New York in classe economica.
La situazione è così critica che uno studio reso pubblico nel 2016, commissionato dall’organo di governo di Bruxelles, ha concluso che la legge europea sulle energie rinnovabili, varata nel 2009, ha aumentato le emissioni di carbonio. L’obiettivo, evidentemente, era di ridurle.
Gli attivisti sono pronti a riconoscere che non tutti i biocarburanti sono nocivi, tuttavia molti sono ottenuti da colture alimentari, il che è un problema. La soluzione prospettata dai gruppi ambientalisti è la fine delle sovvenzioni per i combustibili a base di alimenti. Ma è difficile liberarsi dei sussidi una volta che sono stati concessi.
Qualora, invece, si andasse in questa direzione, sarebbe possibile una vita senza olio di palma? Sì, a condizione che si acceleri la transizione verso i carburanti sostenibili di seconda generazione, basati su altri tipi di sostanze come le alghe. Anche perché i biocarburanti ricavati da colture alimentari non sono la risposta corretta ai cambiamenti climatici. Sono, anzi, parte del problema.