“Non ci sarà un solo centimetro quadrato destinato a una riserva indigena”. Parole dette nei mesi scorsi, durante la campagna per le presidenziali in Brasile, poi vinte dall'uomo politico che molte fonti stampa internazionali hanno definito “neo-nazista”, Jair Bolsonaro. Una frase lapidaria e mirata contro una minoranza che in effetti riporta alla memoria un certo passato.
Bolsonaro naturalmente parla dell'Amazzonia. Area che, in tutti i manuali di geografia, è definita, grazie ai suoi 5,5 milioni di km², il più grande polmone del Pianeta. Ebbene il neo presidente del paese sudamericano, anziché difendere questo patrimonio unico in mano al Brasile, sembra proprio aver inserito ogni progetto di difesa della foresta nella già folta agenda dei suoi bersagli, insieme agli omosessuali, le femministe e, guarda caso, gli ambientalisti.
Dunque “nemmeno un centimetro dell'Amazzonia” andrà a chi la abita da secoli. Ma gli studi di molte organizzazioni hanno confermato che il miglior argine contro la deforestazione è proprio la popolazione nativa. Ma tutto questo non è una priorità per Bolsonaro. Tutt'altro.
Il suo esplicito obbiettivo, infatti, è dar mano libera ai fazendeiros, accesi sostenitori del PSL, la formazione politica di Bolsonaro, insieme ai taglialegna industriali e alle grandi compagnie coltivatrici di soia. Soia, legno, mega-allevamenti di bovini e anche nuovi insediamenti minerari: ecco chi ruberà sterminati appezzamenti di terra all'Amazzonia. È già tutto scritto nei programmi di Bolsonaro, nero su bianco, per quello che si preannuncia come il più grande assalto all'Amazzonia della storia.
E la preoccupazione sale in tutti coloro hanno a cuore le sorti, non solo del Brasile, ma dell'intero Pianeta. Bolsonaro ha annunciato che il suo paese si ritirerà dagli accordi di Parigi del 2015, sul controllo e la riduzione progressiva e programmata delle emissioni nocive. Eppure il Brasile era uno dei principali “imputati” in quella sede, essendo il sesto produttore al mondo di anidride carbonica, ben lungi dall'essere la sesta economia del mondo. Una quota importante del taglio di gas-serra su cui è, fino ad oggi, impegnato il Brasile dipende proprio della deforestazione già in atto: solo tra il 2015 e il 2016 sono andate perse 3000 miglia quadrate, circa 5000 km² di vegetazione.
Questo articolo è stato precedentemente pubblicato su LA STAMPA