È partita la mobilitazione delle Regioni del Nord Italia contro i nuovi paletti Ue della direttiva sulla qualità dell’aria. “È sostenibilità o follia?”, si chiede il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, presentando a Bruxelles la posizione condivisa anche da Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna contro la proposta della Commissione Europea, la cui ambizione è quella di adeguarsi, seppur gradualmente, ai parametri individuati dall’Organizzazione mondiale della sanità.
La revisione Ue concede otto anni di tempo agli Stati membri per adeguarsi ai nuovi limiti, che entreranno ufficialmente in vigore soltanto il 1 gennaio 2030. Tutti questi valori dovranno essere rivisti a partire dal 2028, ogni 5 anni, in base alle nuove evidenze scientifiche e alle tecnologie disponibili, con la possibilità di adeguarsi all’Oms prima di metà secolo.
Misure “irragionevoli” nell’ottica di Fontana. Il cui prezzo da pagare sarebbe “la chiusura nella Pianura Padana del 75 per cento delle attività produttive, impedire la circolazione dei tre quarti dei veicoli che oggi circolano, chiudere il 75 per cento degli allevamenti e delle attività agricole del nostro territorio e avremmo più del 60 per cento dei nostri riscaldamenti che sarebbero fuori legge”.
All’offensiva hanno preso parte i presidenti del Consiglio regionale del Veneto e della regione Piemonte, Roberto Ciambetti e Alberto Cirio, secondo il quale le modifiche sono “assolutamente irraggiungibili”.
Gli allarmi lanciati dai tre presidenti suonano come una sorta di autodenuncia pubblica, visto che la Pianura Padana è l’area più inquinata d’Europa. Un fattore che incide in modo evidente sulla speranza di vita nelle regioni padane. Il problema, quindi, sono le regole introdotte dall’Ue per ridurre il livello di inquinamento o un vetusto modello produttivo?