Le città della Bosnia-Erzegovina hanno i livelli di inquinamento più alti d’Europa secondo il ‘World air quality report’ del 2020. Nel Paese, una delle città bandiera nera per la qualità dell’aria è Zenica, storico polo industriale. Qui da oltre un secolo è attivo un impianto per la lavorazione degli acciai, rilevato nel 2004 dal colosso indiano Arcelor-Mittal (proprietario anche dell’ex Ilva di Taranto).
Per far fronte all’alta incidenza di malattie da anni è attivo un progetto dell’ong italiana Re.Te che ha permesso la creazione dei reparti di oncologia e radiologia nell’ospedale locale e la formazione dei medici bosniaci nella cura del cancro. Ma ci si muove anche sul piano legale: alcuni cittadini hanno infatti portato i rappresentanti di Arcelor-Mittal in tribunale, accusandoli di essere i responsabili delle cattive condizioni di salute a Zenica. Le accuse sono cadute per l’impossibilità di dimostrare il legame tra l’inquinamento e le malattie. Ma alcuni processi sono ancora in corso.
Il problema, come detto, non riguarda soltanto Zenica. Secondo l’Oms, ogni anno il paese perde addirittura oltre il 20% del proprio Pil a causa dell’inquinamento dell’atmosfera, fra decessi, malattie croniche e giornate di lavoro e di studio perse. La Bosnia è al quinto posto nella classifica globale degli Stati con la maggior mortalità dovuta alla qualità dell’aria.
Il circolo vizioso è tra inquinamento ed energia. L’approvvigionamento energetico nel paese dell’Europa dell’Est è ancora strettamente legato alla dipendenza dal carbone. Nonostante sia ricca di risorse naturali, le Nazioni Unite calcolano che la Bosnia usi il 20% del proprio Pil in energia. Una percentuale tripla rispetto a quella di Usa e Ue.