Non arriva più gas in Italia dalla Russia. Ufficialmente, si tratterebbe di un problema commerciale tra Gazprom e il distributore in Austria: i flussi che partono dalla Russia, passano dal gasdotto che attraversa Ucraina e Slovacchia si fermano, poi, al confine con l’Austria. Lo ha comunicato il Gruppo Eni. Ma, in attesa di capire se effettivamente c’è un inconveniente all’infrastruttura o se si tratta di una scelta deliberata del Cremlino, il risultato non cambia: al punto di accesso italiano al passo del Tarvisio, da questa mattina (primo Ottobre) non entra gas.
Il che, al momento, non costituisce un grosso problema per l’Italia. Primo: già da un paio di mesi i flussi non superano i 20 milioni di metri cubi (mc) giornalieri, circa il 10% del totale consumato. Una quantità largamente compensata dagli arrivi dall’Algeria che hanno ormai raggiunto una media quotidiana di circa 80 mln di mc. Secondo: nei giorni scorsi, 18 dei 20 mln di mc in arrivo al Tarvisio finiva per essere esportato verso il centro e nord Europa, dove nell’ultima settimana i prezzi sono più alti rispetto all’Italia.
In un momento in cui il nostro paese, al pari di molti altri, è alla ricerca disperata di gas in giro per il mondo, può apparire insensato che Eni esporti oro blu. In effetti è paradossale, ma allo stesso tempo ‘normale’. Il colosso petrolifero italiano è per davvero un gigante su scala globale, che alimenta il proprio business non semplicemente distribuendo sul territorio domestico l’energia acquistata principalmente all’estero, ma anche rivendendola a un prezzo maggiorato dopo averla comprata da terzi e producendola direttamente in vari siti sparsi nel mondo.
In pratica si comporta come qualunque altra grande impresa. Questo è il punto: Eni è un’azienda privata, partecipata dallo Stato certo, che deve tuttavia rispondere a numerosi azionisti localizzati in vari paesi nel mondo. A loro non interessa più di tanto a chi va il gas, quanto il suo prezzo di vendita. E, quindi, le loro cedole.