La povertà lavorativa in Italia esiste, ma è dovuta soprattutto ai tempi di lavoro e alla composizione familiare. E quindi “è un fenomeno che va oltre la questione salario”.
Il documento approvato dall’Assemblea del Cnel affossa la proposta di legge sul salario minimo presentato dalle forze di opposizione, suggerendo invece di rafforzare con un piano di azione nazionale “un ordinato e armonico sviluppo del sistema della contrattazione collettiva”.
Conclusioni che non tengono conto dei tanti contratti collettivi (anche tra quelli firmati dai sindacati maggiormente rappresentativi) che hanno soglie salariali bassissime, ben al di sotto dei 9 euro previsti dalla proposta di legge.
Secondo il Cnel inoltre la legislazione italiana rispetta già ampiamente le indicazioni della direttiva Ue sul salario minimo, visto che il tasso di copertura della contrattazione collettiva in Italia “si avvicina al 100 per cento, di gran lunga superiore all’80 per cento”, parametro indicato dalla direttiva.
“I sindacati non rappresentati al Cnel nella X consiliatura – si legge in un passaggio del documento – firmano 353 contratti collettivi nazionali che coprono 54.220 lavoratori dipendenti, pari allo 0,4 per cento dei lavoratori di cui è noto il Ccnl applicato”. Cgil, Cisl e Uil, invece, “firmano 211 contratti collettivi nazionali di lavoro, che coprono 13.364.336 lavoratori dipendenti del settore privato, con eccezione di agricoltura e lavoro domestico; gli stessi rappresentano il 96,5 per cento dei dipendenti dei quali conosciamo il contratto applicato, oppure il 92 per cento del totale dei dipendenti tracciati nel flusso Uniemens”.
Indicazioni che trascurano il fatto che non tutti i minimi contrattuali, neanche di quelli firmati da Cgil, Cisl Ui, hanno soglie salariali che raggiungono i parametri indicati dalla proposta di legge depositata in Parlamento: alcuni, come quelli della vigilanza privata, rimangono ampiamente al di sotto dei 9 euro l’ora, ma anche dei 7 e in qualche caso dei 6.
Il documento del Cnel riconosce inoltre “la criticità del fenomeno dei ritardi nel rinnovo dei contratti collettivi”. Un fenomeno che si va sempre aggravando, e che include anche i contratti pubblici.