Più salario e meno orario. Si può? Forse si potrebbe, attraverso la contrattazione collettiva di secondo livello e anche quella nazionale. E forse questa tornata di rinnovi, che si annuncia come quella più importante per il numero di addetti coinvolti (oltre 10 milioni entro l’anno avranno il contratto scaduto), dirà se è sostenibile parlare di 35 ore anche nel nostro Paese.
Il dato da cui partire è che in tutti i settori le imprese lamentano sempre lo stesso fatto: c’è un problema di livello di produttività (che in realtà in Italia è più che altro determinata dal fatto di avere un’economia caratterizzata da una specializzazione in ambiti low-tech e da nanismo industriale). L’idea è di aumentarla riducendo l’orario e mantenendo lo stesso livello di produzione. D’altronde, gli esperimenti effettuati in alcuni paesi, come il Regno Unito, hanno segnalato che diminuendo l’orario di lavoro la produttività tende a salire.
Tornando all’Italia, i metalmeccanici (che rappresentano uno dei settori principali dell’economia italiana) chiedono la riduzione dell’orario settimanale da 40 a 35 ore. Prima di loro ci hanno provato altri settori: legno arredo, alimentare, tlc e banche. Gli unici ad avere avuto una riduzione di mezz’ora da contratto nazionale sono i bancari ma da 37,5 a 37 ore, a fronte di un sostanzioso aumento retributivo (superiore a 330 euro mensili). Un segnale, forse piccolo, che potrebbe tuttavia aver aperto una nuova via.