Negli ultimi anni, in Italia, le retribuzioni del settore pubblico sono diminuite sia in termini reali (-12% nel 2023 rispetto al 2020) che rispetto alle retribuzioni private. Questo rende le trattative per il rinnovo dei contratti, attualmente in corso, particolarmente complesse.
La diminuzione reale delle retribuzioni pubbliche ha facilitato il finanziamento di diverse politiche del governo, come i recenti tagli dell’Irpef e le recenti assunzioni di nuovi dipendenti pubblici.
Ma ora i nodi vengono al pettine perché sarà difficile per il governo resistere alle richieste di aumento dei sindacati. Le risorse finora stanziate comporterebbero una crescita dei salari del 5,78% rispetto al 2021, lasciando però il rapporto tra retribuzioni pubbliche e private a un minimo storico per gli ultimi trent’anni.
In conclusione, i salari della PA italiana sembrano essere destinati a risalire, sia per recuperare la perdita di potere d’acquisto dovuta all’inflazione, sia per il divario che si è creato rispetto alle retribuzioni private, il che porrà pressione sui conti pubblici.
Negli ultimi anni, come detto, la compressione dei salari pubblici dovuta all’inflazione ha reso disponibili risorse per alimentare nuove spese o tagli di tasse: il monte salari è sceso dal 9,7% del Pil nel 2021 a una stima del 9,1% del Pil nel 2024.
Questo nonostante l’aumento dell’occupazione pubblica, che forse appariva poter essere più sostenibile vista la compressione delle retribuzioni reali. Ma è probabile che questa compressione sia temporanea, a meno che i sindacati non accettino un taglio sostanziale delle retribuzioni pubbliche in termini reali e rispetto a quelle del settore privato.