È necessario reintrodurre le tutele dell'articolo 18 ridimensionate con il contratto a tutele crescenti del Jobs act? Il tema è tornato di attualità con la richiesta interna alla maggioranza di metterlo sul tavolo del tagliando di governo.
Uno studio prodotto dall'Osservatorio statistico dei Consulenti del lavoro evidenzia che i contratti sottoscritti dopo la riforma sembrano esser più resilienti di quelli siglati in precedenza.
A tre anni e tre mesi di distanza dall’inizio del rapporto contrattuale, risulta licenziato il 21,3% dei dipendenti assunti nel 2015 con il nuovo regime a fronte del 22,6% dei neoassunti con contratto tradizionale nel 2014.
Anche se si guarda alla “sopravvivenza” dei contratti i numeri restano a favore di quelli avviati dopo il Jobs act. Dopo 39 mesi, 2 contratti su 3 che vedevano l’applicazione dell'articolo 18 risultavano cessati, mentre per i contratti che applicano le nuove regole di licenziamento la quota scende al 60,7%.
Pertanto, l’incidenza delle cessazioni dei contratti a tutele crescenti diminuisce di 5,9 punti percentuali rispetto ai contratti a tempo indeterminato attivati nel 2014 e di 7,8 punti rispetto alla media degli anni 2011-2013.
Cio’ significa che, a tre anni e tre mesi dall’assunzione, il 39,3% dei contratti a tutele crescenti stipulati nel 2015 continuano a essere attivi. Se si prendono invece i contratti con l’articolo 18 stipulati nel 2014, la quota di attività scende al 33,4%.