Jobs act, con le tutele crescenti non c’è stato il (temuto) boom di licenziamenti

A 3 anni e 3 mesi dall’assunzione risulta licenziato il 21,3% dei dipendenti assunti nel 2015 con il nuovo regime a fronte del 22,6% dei neoassunti con il contratto tradizionale nel 2014

Jobs act, con le tutele crescenti non c’è stato il boom di licenziamenti

È necessario reintrodurre le tutele dell'articolo 18 ridimensionate con il contratto a tutele crescenti del Jobs act? Il tema è tornato di attualità con la richiesta interna alla maggioranza di metterlo sul tavolo del tagliando di governo.

Uno studio prodotto dall'Osservatorio statistico dei Consulenti del lavoro evidenzia che i contratti sottoscritti dopo la riforma sembrano esser più resilienti di quelli siglati in precedenza.

A tre anni e tre mesi di distanza dall’inizio del rapporto contrattuale, risulta licenziato il 21,3% dei dipendenti assunti nel 2015 con il nuovo regime a fronte del 22,6% dei neoassunti con contratto tradizionale nel 2014.

Anche se si guarda alla “sopravvivenza” dei contratti i numeri restano a favore di quelli avviati dopo il Jobs act. Dopo 39 mesi, 2 contratti su 3 che vedevano l’applicazione dell'articolo 18 risultavano cessati, mentre per i contratti che applicano le nuove regole di licenziamento la quota scende al 60,7%.

Pertanto, l’incidenza delle cessazioni dei contratti a tutele crescenti diminuisce di 5,9 punti percentuali rispetto ai contratti a tempo indeterminato attivati nel 2014 e di 7,8 punti rispetto alla media degli anni 2011-2013.

Cio’ significa che, a tre anni e tre mesi dall’assunzione, il 39,3% dei contratti a tutele crescenti stipulati nel 2015 continuano a essere attivi. Se si prendono invece i contratti con l’articolo 18 stipulati nel 2014, la quota di attività scende al 33,4%.

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