Il tasso di irregolarità, cioè la percentuale di occupazione non regolare sul totale, per l’ultimo anno disponibile (2017) varia da valori pari o inferiori al 10% per 5 regioni settentrionali su 6 sino a valori pari o superiori al 15% per tutte le regioni meridionali, con una punta intorno al 20% per Calabria e Sicilia. Alle differenze territoriali nel tasso di disoccupazione, sembra dunque si aggiungano forti differenze nella consistenza del lavoro non regolare.
“Tuttavia – evidenzia Emilio Reyneri -se consideriamo la diffusione dell’occupazione irregolare rispetto alla popolazione emerge un altro quadro. Dividendo il tasso di occupazione, che misura il rapporto tra occupati e persone da 15 a 64 anni, tra tasso di occupazione irregolare e tasso di occupazione regolare risulta che la quota di abitanti con un’occupazione irregolare oscilla soltanto dal 7-8% per le regioni settentrionali al 9-10% per quelle meridionali. Al contrario, enormi sono le differenze nel tasso di occupazione regolare: dal 65-70% delle regioni settentrionali sino a meno del 40% per 3 regioni meridionali (Sicilia, Campania e Calabria).”
Il che – secondo Reyneri - porta a due conclusioni.
Primo, “il problema del Mezzogiorno non è tanto una diffusione del lavoro nero particolarmente alta, ma la scarsissima presenza di quello regolare, soprattutto nell’industria e nei servizi”.
Secondo, “il lavoro nero è solo leggermente meno diffuso nelle regioni settentrionali e quindi costituisce un problema anche per queste regioni”.
Tuttavia, non è tutto qui.
Nelle regioni meridionali gli occupati irregolari sono per lo più maschi, in età centrale e capifamiglia, mentre in quelle settentrionali sono per lo più donne, giovani e coniugi o figli. Quindi “nel Mezzogiorno è probabile che i lavoratori in nero siano i soli occupati in famiglia – conclude Reyneri -, mentre nel Nord è probabile che i lavoratori in nero vivano in famiglie in cui il capofamiglia ha un lavoro regolare. Si spiega così la maggiore gravità sociale del lavoro in nero nel Mezzogiorno.”