Con 1 giovane su 6 rimasto senza lavoro, soprattutto nei settori turistici e attività commerciali e principalmente di sesso femminile, la perdita del lavoro è stata una delle (gravi) conseguenze indirette della pandemia. A sostenerlo è il Rapporto commissionato dall’Organizzazione internazionale del lavoro delle Nazioni Unite all’Università di Cambridge.
Secondo lo studio, dall’inizio della pandemia, più di un giovane su sei in tutto il mondo è stato licenziato o ha smesso di lavorare, con gravi ripercussioni sulla loro salute mentale e sul loro benessere.
Oltre il 40% di tutti i giovani con un’occupazione pre-pandemia - circa 178 milioni di lavoratori – era impiegata in settori tra i più colpiti: commercio al dettaglio, servizi e turismo. In effetti, il solo turismo ha subito perdite finanziarie undici volte maggiori rispetto al crollo finanziario del 2008.
L’occupazione giovanile globale è inoltre diminuita di oltre il doppio del tasso degli ‘anziani’ nel 2020 (8,7% rispetto al 3,7%), con una perdita di lavoro particolarmente concentrata tra le giovani donne nei paesi a reddito medio. I tassi globali di occupazione femminile hanno subito una riduzione del 5% nell’ultimo anno, rispetto al 3,9% per gli uomini.
I ricercatori temono che a questo punto potrebbe verificarsi un vero e proprio ‘blocco generazionale’ per una fascia di popolazione che subirà periodi prolungati di disoccupazione, che renderanno difficile il reinserimento nel mercato del lavoro e con il rischio di farsi superare da concorrenti più giovani e più qualificati. In tal contesto, il rapporto punta il dito contro i governo di molti Paesi, colpevoli di inerzia quando si è trattato di sostenere i giovani che hanno perso il lavoro o che stanno facendo fatica a entrare nel mercato del lavoro dopo la pandemia.
Molti paesi infatti hanno semplicemente riconfezionato le politiche esistenti - e spesso già fallimentari - senza i finanziamenti o le riorganizzazioni necessari per aiutare gli under 24 anni: la fascia demografica più colpita dalle conseguenze economiche del Covid-19. Ecco perché lo studio invita i paesi ad andare oltre le politiche occupazionali ‘yo-yo’ e ad attuare interventi a lungo termine rivolti direttamente ai giovani.