Dopo le crisi finanziarie, in Europa si torna a parlare di crescita: ma riguarda soltanto alcune economie, mentre altre restano in stagnazione. Peraltro i nuovi posti di lavoro creati sono perlopiù parte part-time e precari, mentre i dipendenti non vedono un aumento dei propri salari in linea con la crescita e per proteggersi dalla prossima recessione c’è ancora molto da fare. Il Benchmarking Working Europe 2018, pubblicato dall’Etui, delinea un quadro che evidenzia alcune criticità.
L’analisi mostra che la crescita media del Pil pro capite è rimasta negativa per otto paesi tra il 2008 e il 2016 e ha rasentato lo zero per altri sette nello stesso periodo di crisi. La crescita di oggi non riguarda tutti, e chi cresce non lo fa allo stesso modo: inoltre c’è molto da recuperare, perché molto si è perso.
Esiste una netta divergenza tra economie del nord in crescita e quelle del sud in difficoltà: ciò è dovuto anche agli effetti persistenti dell’austerità e delle svalutazioni interne in quei paesi esposti ai programmi di riforme strutturali imposte dalla “Troika”, in cambio di aiuti per stabilizzare i loro settori finanziari. Le condizioni associate alle riforme erano dure e questo ha pesato.
Prima della crisi i salari stavano crescendo in tutta Europa, oggi questo non sta più accadendo: anni di politiche di austerità non hanno fatto bene ai redditi e molti governi hanno fissato un salario minimo al di sotto della soglia di povertà. In conseguenza di questo anche chi lavora è a rischio indigenza e le donne sono una categoria particolarmente colpita.
Al momento un problema serio in molti paesi resta la disoccupazione giovanile. Alla luce degli errori del passato, tra i quali quelli della politica che hanno precarizzato il lavoro minando la futura stabilità economica, ora l’aumento dei salari reali e un’azione per stimolare la crescita e gli investimenti appaiono necessari.