I giorni del carbone, come fonte di produzione di energia elettrica, sono contati. Ed è cominciata la fuga anche nel mondo della finanza. Obiettivo: uscire al più presto da ogni forma di investimento.
Secondo l’ultimo rapporto dell'Istituto per l'economia e l'analisi finanziaria dell'energia (IEEFA), il 40% delle prime 40 banche e almeno 20 assicuratori globali ad imboccare quella che appare una svolta. E non sono soltanto una quarantina, bensì 100, le società creditizie globali che hanno ridotto il finanziamento di attività collegate al carbone. Dagli Stati Uniti al Sud Africa, dal Brasile al Giappone, la tendenza sembra ormai inarrestabile.
"Con l'aumento dei prezzi dei diritti di emissione, prevediamo che, entro tre anni, la domanda di carbone in Europa crollerà. Perché gli investitori stanno cominciando a capire che il cambiamento climatico non è più soltanto una questione politica, ma è qualcosa di reale". A sostenerlo – come rivela il Financial Times – è Lansdowne Partner, uno dei primi hedge fund nato nel 1998: con base a Londra gestisce oltre 18 miliardi di dollari.
Alcuni paesi, tuttavia, resistono e cercano di ritardare il più possibile la fase di uscita dal carbone. In testa c'è la Polonia che non ne fa solo una questione di mancanza di alternative alle sue centrali alimentate con il "coke": avendo molte miniere, teme anche pesanti ricadute occupazionali.
Ma la strada sembra ormai segnata. Già ora in Europa il carbone copre solo il 15% del fabbisogno di energia, contro il 38 per cento della media globale. E sempre più Stati hanno deciso la data in cui mettere al bando definitivamente il suo utilizzo.