Non solo i mercati finanziari, ma anche i governi delle maggiori potenze economiche mondiali, hanno osservato con attenzione quanto accaduto lunedì 5 luglio alla riunione dell’Opec+. L’organizzazione dei maggiori produttori di petrolio, allargata alla Russia (da cui il segno più), era convocata in seduta permanente da giovedì scorso per decidere se estendere o meno i tagli fino al dicembre del 2022, riaprendo i rubinetti solo gradualmente.
Ma alla fine la riunione è stata nuovamente rinviata a data da destinarsi dopo che sono falliti i tentativi di trovare una soluzione di compromesso su come gestire i prossimi aumenti della produzione. Eppure nel corso della riunione di giovedì, poi continuata venerdì, i paesi avevano trovato un’intesa di massima sul fatto di aumentare la produzione di 400.000 barili al giorno. Lo scorso anno i paesi produttori avevano deciso un drastico taglio di 10 mln di barili a fronte del crollo dei prezzi e nel corso degli ultimi mesi questi tagli sono stati ridotti progressivamente.
La produzione rimane al momento inferiore ancora di 5,8 mln rispetto ai livelli pre-pandemici e avrebbe recuperato altri 2 milioni entro dicembre sulla base della bozza di intesa. Le differenze sono emerse su come gestire gli altri tagli rimanenti che dovrebbero durare fino ad aprile 2022, mentre giovedì era stata avanzata la proposta di una loro proroga fino a fine 2022. Un’idea che ha trovato la strenua opposizione degli Emirati Arabi Uniti. L’accordo è così saltato.
A pagarne le conseguenze sarà la ripresa dell’economia globale, ancora fortemente dipendente dall’oro nero. A questo punto l’inflazione delle economie avanzate probabilmente salirà ancora, dopo il +3,8% su base annua registrato nel paesi Ocse a maggio. E in caso di ulteriori balzi del livello dei prezzi al consumo le banche centrali potrebbero decidere di anticipare l’aumento dei tassi di interesse. Il che potrebbe aprire un nuovo scenario: la stagflazione.
FOCUS - Cosa chiedono gli Emirati Arabi Uniti?
Per capire la questione, è bene ricordare che i tagli, così come gli aumenti di produzione, vengono decisi prendendo come riferimento una soglia di partenza: più alta è quella soglia, più un paese può produrre una maggiore quantità di petrolio.
Ciò che Abu Dhabi chiede, è la revisione al rialzo della propria quota, prima che quei tagli vengano prorogati alla fine del 2022, per produrre dunque di più rispetto a quanto le è consentito di fare ora.
La soglia attuale è quella, d'altronde, che è stata decisa per il paese nell’ottobre del 2018, quando Abu Dhabi produceva circa 3,2 milioni di barili al giorno. Il punto è che, lo scorso anno, quel numero è volato a 3,8 milioni di barili al giorno. Secondo gli Emirati Arabi Uniti, la soglia di partenza non dovrebbe essere insomma quella di quattro anni fa.
Tuttavia, secondo gli accordi in essere, i paesi membri dell’Opec+ potranno rinegoziare le loro quote di partenza soltanto alla fine dell'accordo attuale, che ora Arabia Saudita e Russia vorrebbero estendere. Di qui, il ‘no’ secco degli Emirati.