Nel giro di pochi mesi, l’Ue ha ridotto così tanto la sua dipendenza dal petrolio russo che ora si dice intenzionata a imporre un embargo. La presidente della Commissione europea ha annunciato un piano per vietare le importazioni di greggio russo nella maggior parte dell’Ue nei prossimi sei mesi e la raffinazione dei prodotti petroliferi entro la fine dell’anno. Ma c’è un gruppo di paesi, capitanati dall’Ungheria, che si oppone.
Ammettiamo che si riesca (attraverso corpose compensazioni economiche a favore dei paesi riottosi) a superare l’empasse, l’obiettivo di mettere in ginocchio l’economia russa può essere raggiunto attraverso l’embargo dell’oro nero? La risposta è ‘no’. Per avere un impatto significativo sul bilancio russo, l’Europa infatti deve anche porre fine alla sua dipendenza dal gas russo. Ma, come noto, questo obiettivo è una mission quasi impossible, come spiega lucidamente l'economista Daniel Gros su Project Syndicate.
L’Europa è riuscita a ridurre rapidamente il suo fabbisogno di petrolio russo perché può essere facilmente consegnato tramite navi cisterna, non solo condutture, e non è complicato trovare nuove forniture sul mercato mondiale. Tuttavia, è altrettanto vero che è semplice trovare nuovi acquirenti per compensare gran parte delle perdite dovute a un embargo dell’Ue. Il gas è, al contrario, un’altra storia.
Il Vecchio continente ha bisogno di gas naturale per fornire calore in inverno e per fungere da materia prima per la più grande industria chimica (soprattutto quella tedesca) a livello mondiale, che rappresenta una quota significativa delle esportazioni dell’Ue. E alcune caratteristiche del mercato del gas naturale rendono più complesso e costoso trovare alternative alle forniture russe di quanto non sia stato per il petrolio. Tanto per cominciare, poiché la maggior parte dei produttori di gas naturale opera con contratti a lungo termine con gli acquirenti, c’è poca capacità di produzione inutilizzata al di fuori della Russia. Sebbene esistano mercati spot, in cui è possibile acquistare o vendere quantità limitate di gas, il loro scopo è ridistribuire l’offerta o la domanda esistente tra le regioni, se necessario, non per rendere disponibile ulteriore fornitura.
I ministri dell’Energia europei hanno visitato diversi produttori mondiali di gas, nella speranza di convincerli ad aumentare la produzione. E i principali produttori di gas sono ben felici di accontentarli. Ma avvertono che ci vogliono fino a quattro anni per lanciare nuovi progetti, e farlo ha senso commerciale solo se il cliente è disposto a firmare un contratto di 20 anni. Tutto ciò significa che, nel breve periodo, la fornitura di gas naturale è quasi fissa. Ma questo aspetto quasi nessuno ha ancora avuto il coraggio di evidenziarlo.
L’unico modo per compensare la carenza di gas russo è pertanto un mix di risparmio energetico e aumento delle importazioni. Qui l’Europa dovrà affrontare un’altra sfida. Il gas naturale è costoso da trasportare e difficile da immagazzinare. Una volta che il gas è stato liquefatto (Gnl) e caricato su un’autocisterna speciale, poche migliaia di miglia in più di viaggio fanno poca differenza. Questo è il motivo principale per cui i mercati del Gnl asiatico ed europeo sono integrati, con prezzi nei due continenti che generalmente si muovono a stretto contatto. I prezzi spot del gas hanno raggiunto livelli molto elevati già lo scorso autunno, mesi prima che la Russia invadesse l’Ucraina, perché una forte ripresa in Asia ha spinto la domanda.
Se ora l’Europa vuole porre fine alla sua dipendenza dal gas russo, deve aumentare sensibilmente l’import di Gnl. Un obiettivo costoso, perché significa deviare le spedizioni dirette in Asia verso l’Europa, ma tecnicamente possibile in virtù di una profonda asimmetria nel commercio di Gnl: ci vuole molto più tempo per costruire impianti di liquefazione che provvedere alla rigassificazione. Quando arriva il Gnl, i paesi importatori devono riscaldare il liquido nelle petroliere. Il problema è che molti paesi non dispongono di impianti Gnl fissi sufficienti per aumentare le importazioni (ad esempio la Germania ha sempre puntato tutto su Mosca). Ma c’è un’opzione: i terminali Gnl galleggianti. È in questa direzione che si stanno muovendo, oltre alla prima economia europea, anche Francia e Italia. Gli impianti di liquefazione, d’altra parte, necessitano di molto più tempo per essere costruiti, perché richiedono frigoriferi giganti che raffreddino il gas fino a -160° Celsius.
Ciò determina due conseguenze. Alcuni sperano che gli Stati Uniti possano fornire il Gnl tanto necessario all'Europa. Ma gli Stati Uniti stanno attualmente facendo funzionare a pieno regime gli impianti di liquefazione esistenti e ci vorrebbero diversi anni per costruire nuovi impianti. Finché la capacità di esportazione degli Usa sarà limitata, reindirizzare le consegne statunitensi dall’Asia all’Europa non servirà a ridurre l’eccesso di domanda nel mercato combinato del Gnl Ue-Asia. Per gli Stati Uniti questo ha il vantaggio che i prezzi interni del gas naturale sono rimasti molto più bassi che in Europa o in Asia. La sfida di costruire impianti di liquefazione del Gnl aumenta i costi anche per la Russia per cercare di esportare il gas che l’Europa forse non acquisterà più. Tradotto: per un certo numero di anni, la Russia non sarebbe in grado di vendere i 140 miliardi di metri cubi di gas naturale che prima andavano in Europa ogni anno.
Se il Vecchio continente è disposto a pagare il prezzo di costose importazioni di Gnl, potrebbe quindi minare gravemente la capacità della Russia di guadagnare valuta forte attraverso le esportazioni di gas. Ciò intaccherebbe pesantemente l’economia (di guerra) della Federazione, spingendo in un angolo Vladimir Putin.