Il Brasile, nonostante possa contare sulla più grande disponibilità al mondo di acqua dolce (i due terzi di quanto scorre nel Rio delle Amazzoni potrebbe soddisfare il fabbisogno mondiale), ha un grave problema con la siccità. Nel 2020, l’assenza di precipitazioni meteorologiche nella zona centro-meridionale del Paese ha portato a una carenza di acqua di 267 km cubi in fiumi, laghi, terreno ed acquitrini. Si tratta della peggiore siccità mai affrontata in un territorio che – da solo – è responsabile della produzione di un terzo della canna da zucchero mondiale e del 15% della carne da macello.
Nella prima economia dell’America latina i bacini di raccolta sono scesi a meno del 20% della loro capacità totale. I primi effetti si sono già visti, colpendo i settori energetici ed agricoli: da luglio 2020 il prezzo del caffè è cresciuto del 30% (il Brasile conta per un terzo delle esportazioni mondiali), quello della soia del 67% e i conti per l’energia elettrica sono aumentati del 130%. In più, molte città sono a rischio di dover affrontare un razionamento dell’acqua.
Il primo imputato è il cambiamento climatico. Il secondo è il tasso di deforestazione: il sistema idro climatico della regione centro-meridionale, motore del 70% del prodotto interno lordo del Brasile, è influenzato dal trasferimento di umidità della foresta pluviale. I cosiddetti fiumi volanti, generati dalla traspirazione delle piante, possono concorrere a generare un quantitativo di acqua in precipitazioni pari a quanto trasportato – da solo – dal Rio delle Amazzoni. Tagliare gli alberi riduce, di conseguenza, le precipitazioni totali, contribuendo alla scarsità di acqua. Il terzo colpevole è la politica. Per decenni, i vari governi del Brasile che si sono succeduti non hanno mai voluto riconoscere la siccità come un problema di sicurezza nazionale.
Eppure l’acqua è la benzina del benessere e dell’economia domestica. L’85% del fabbisogno di acqua dolce deriva da corsi d’acqua e laghi. Il Brasile è il secondo al mondo per capacità idroelettrica in grado di soddisfare il 65% dell’elettricità richiesta. Due quinti di questa è generata dal bacino del fiume Paraná, la cui capacità è scesa ai livelli minimi in 91 anni, costringendo il governo a tornare a utilizzare fonti fossili per produrre elettricità.
Lo Stato è dipendente dall’agricoltura per un quarto del suo Pil: soia, caffè, canna da zucchero sono i principali prodotti che richiedono ingenti quantità di acqua. L’irrigazione serve il 13% delle terre coltivate, consumando il 68% delle risorse idriche, pari a qualcosa come 68,4 miliardi di litri di acqua al giorno. Numeri che chiariscono quali potrebbero essere gli effetti della carenza di acqua a breve e lungo termine.