Nucleare e gas sono davvero fonti ‘green’? E sono utili per una transizione energetica verde in Europa? Secondo le commissioni Ambiente ed Economia del Parlamento europeo, che hanno votato il 14 giugno la riposta è ‘no’. Un parere che, se confermato dall’intero Parlamento il prossimo 11 luglio, sarebbe in contrasto con quanto stabilito a inizio febbraio dalla Commissione europea, che aveva invece incluso gas e nucleare fra gli investimenti sostenibili fino al 2030.
La tassonomia era stata concepita per fornire delle linee guida per classificare gli investimenti verdi, evitando che il caos normativo permetta agli investitori di classificare qualsiasi cosa come ‘green’. Ma ora le istituzioni comunitarie sembrano essersi di nuovo smarrite.
Già a febbraio, la decisione della Commissione era stata criticata: secondo alcuni osservatori, si trattava di un compromesso per accontentare alcuni grandi Paesi europei: la Francia sul nucleare, Germania e Italia sul gas naturale.
L’assenza di un’etichetta di sostenibilità non è irrilevante: significa far scomparire queste fonti. Studi recenti stimano che banche e fondi Ue investano circa l’80% dei loro capitali in settori green, ed è una percentuale destinata a salire ancora.
Ecco perché l’esclusione di gas e nucleare dagli investimenti green è così dibattuta. Eppure la questione diventa sempre più rilevante, anche alla luce degli avvenimenti in Ucraina e della volontà europea di limitare la propria dipendenza dai combustibili fossili russi.
Secondo Greenpeace, i nuovi investimenti sul gas generati dalla sua inclusione in tassonomia porterebbero nelle casse del Cremlino fino a 4 miliardi extra l’anno fino al 2030. Mentre Rosatom, azienda russa attiva nel settore dell’energia nucleare, potrebbe assicurarsi una quota di circa 500 miliardi di euro di potenziali investimenti in nuove capacità nucleari dell’Ue.
La guerra farà cambiare idea all’Europa?