Al Giappone non bastano le rinnovabili

Gli esperti convocati dal governo: “Riattivare i reattori spenti dopo Fukushima”. Ma resta il problema dello stoccaggio delle scorie

Le rinnovabili non bastano

Gli esperti convocati dal governo nipponico per pianificare la prossima strategia energetica del Paese sono stati chiari: le centrali atomiche rappresentano un’arma imprescindibile per tagliare le emissioni di CO2.

Come sta già avvenendo in altri paesi, anche nella terza economia al mondo prende piede l’idea che per raggiungere la ‘carbon neutrality’ sia necessario puntare sul nucleare.

A Tokyo tutto è iniziato nell’ottobre scorso, quando il governo ha annunciato di voler azzerare le emissioni del Paese entro il 2050 e di volerle abbattere entro il 2030 del 26%, rispetto ai livelli del 2013. Obiettivi ambiziosi e in linea con gli Accordi di Parigi.

Ma come raggiungerli? Al Giappone le sole rinnovabili non bastano, occorre rimettere in moto – secondo gli esperti - la maggior parte dei 54 reattori fermati dopo l’incidente di Fukushima del 2011. E costruirne di nuovi.

Oggi l’arcipelago dispone di 36 centrali, ma solo 9 sono rientrate in funzione dopo il disastro che portò all’evacuazione di 184 mila persone e che contaminò un’area la cui bonifica richiederà ancora più di trent’anni. L’energia elettrica prodotta con il nucleare in Giappone rappresenta il 6% del totale, contro il 30% dell’era pre-Fukushima. Affinché l’obiettivo del taglio di emissioni del 2030 sia centrato, occorrerebbero dunque 27 reattori in funzione. Ma secondo altri la quota minima è a 30.

Non sarà facile per il governo guidato da Yoshihide Suga, tuttavia, convincere i giapponesi che, oltre a essersi scottati due volte con il nucleare (prima Hiroshima e Nagasaki, poi Fukushima), lamentano l’assenza di una soluzione definitiva per lo stoccaggio delle scorie radioattive, in Paese peraltro ad alto rischio sismico.

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