A causa dell’aggravarsi della situazione in Medio Oriente, i prezzi dell’oro e del petrolio sono saliti alle stelle. L’aumento della tensione nella macroregione potrebbe farli incrementare ancora di più.
E tutto cio’ sembra andare a vantaggio della Russia: la quota di oro nelle sue riserve auree è da record e gli utili dalle vendite di petrolio riempiono regolarmente il bilancio.
Dopo l’assassinio del generale iraniano Qasem Suleimani, il Brent è salito a 71,5 dollari al barile. Poi è tornato sotto i 70. E l’oro ha raggiunto i massimi in sette anni. Per la prima volta dal 2013, il costo di un’oncia ha superato i 1.600 dollari, salvo poi scendere intorno ai 1.500.
Ma gli analisti sono convinti che, se la situazione dovesse peggiorare, petrolio e oro continueranno a battere tutti i record. Capital Economics ha iniziato a parlare di circa 150 dollari al barile. Tale scenario, che appare ora impossibile, potrebbe invece verificarsi se ad esempio cominciasse un conflitto Usa-Iran su vasta scala e fosse chiuso lo Stretto di Hormuz, attraverso il quale passa oltre il 20% delle forniture globali di petrolio.
Cio’ che invece appare più evidente è il riflesso positivo per la Russia, che è un importante produttore di petrolio e ha sensibilmente accresciuto le proprie riserve auree: negli ultimi cinque anni la Banca centrale di Mosca le ha raddoppiate, arrivando a 2.219 tonnellate
Al contempo, il valore del metallo giallo è salito. Ai prezzi attuali, le riserve russe valgono 120 miliardi di dollari. E, se anche il petrolio crollasse a 30 o 20 dollari al barile, il governo sarebbe in grado di adempiere agli obblighi finanziari per circa tre anni senza dover ricorrere ad alcun shock per rivitalizzare l’economia.