Nel “decreto agosto”, il governo ha annunciato l’introduzione del cashback di stato per i pagamenti elettronici. L’obiettivo è quello di rendere tracciabili un maggior numero di transazioni, in modo da ridurre l’evasione fiscale, in particolare dell’Iva.
Dal primo dicembre, per ogni pagamento eseguito si riceverà un rimborso del 10% sul totale della transazione. È stato fissato un tetto sui rimborsi pari a 150 euro per semestre e un numero minimo di transazioni da effettuare pari a 50 per semestre. Questo significa che ogni anno si potranno ottenere rimborsi fino a 300 euro su un totale di spesa di tremila.
Inoltre, il governo ha deciso di incentivare l’utilizzo quotidiano dei pagamenti elettronici introducendo un premio per i maxi-utilizzatori. Infine, verrà istituita una lotteria degli scontrini, con premi fino a 5 milioni di euro. Agli incentivi per i consumatori, va aggiunto il credito di imposta sulle commissioni del Pos per gli esercenti.
Qual è il vantaggio per lo stato nell’offrire questi incentivi? Una maggiore quantità di pagamenti tracciati aumenta la base imponibile e quindi i ricavi per lo stato nella raccolta delle imposte, oltre a ridurre i costi e i tempi delle transazioni. L’Italia risulta sestultima tra i Paesi europei nell’utilizzo di strumenti di pagamento cashless e tra le 35 peggiori economie globali che più utilizzano il contante rispetto al Pil (l’uso del contante e la dimensione dell’economia sommersa sono correlati positivamente).
Questi incentivi sono in gran parte ispirati a quelli introdotti dal governo portoghese a partire dal 2014. Il Portogallo è riuscito a dimezzare il proprio Vat gap, ossia la percentuale di Iva evasa rispetto al totale dell’Iva dovuta, dal 13,7 per cento del 2014 al 7 per cento stimato nel 2019. Se anche l’Italia dovesse riuscire in una impresa simile il recupero di Iva sarebbe di circa 10 miliardi.