Nella tenaglia tra aliquote da paradisi fiscali (in Lussemburgo la pressione fiscale reale è addirittura negativa) e retribuzioni da caporalato (in Bulgaria il salario minimo orario non supera i 2 euro), l’Italia rischia di trasformarsi nel paese delle opportunità mancate. Il nostro paese, stritolato dal “dumping europeo”, continua così a perdere investimenti esteri e capitale umano. È quanto emerge dal Focus Censis-Confcooperative, che evidenzia come nell’Ue esistano 28 sistemi fiscali differenti.
Nell’Ue l’Italia è in coda alla classifica per capacità di attrarre investimenti esteri, peggio di noi fa solo la Grecia. Mentre svetta, occupando il terzo posto dietro solo a Romania e Polonia, nella graduatoria stilata contando chi lascia il paese di origine per cercare lavoro in un altro paese Ue.
L’approccio “aggressivo” di alcuni sistemi fiscali e la capacità di attrazione di attività economiche e di gettito fiscale ha chiaramente dei riflessi sugli investimenti esteri. Come base di confronto, possono essere presi paesi come la Germania, la Francia o l’Italia: nel primo caso la quota di investimenti in entrata sul Pil è del 24,2%, mentre per la Francia raggiunge il 31,8% e per l’Italia si ferma al 20,3%.