A 86 anni, dopo una vita da mattatore assoluto, se ne è andato Silvio Berlusconi. La notizia trova ampio spazio nelle home page delle principali testate giornalistiche estere. Impresario edile, tycoon televisivo, presidente del Milan e poi del Monza, fondatore di un partito (Forza Italia), quattro volte premier, imputato in numerosi processi. E il sospetto, circostanza mai riconosciuta da alcuna sentenza, di contatti diretti con la mafia.
Non era nato ricco ma era capace di persuadere e sedurre: questa è sempre stata una delle principali caratteristiche di Berlusconi, il piccolo borghese venuto dal nulla. Raccontava le barzellette, mostrandosi vicino alla persone comuni. Parlava come l’uomo della strada. Sapeva piacere, e molto, all’italiano medio, convinto che lo avrebbe reso ricco come aveva reso prospere le sue aziende.
Ma dopo quasi trent’anni di attività politica quale eredità ci lascia? Pochissime riforme, in realtà. A quelle ci ha pensato per lo più il centro-sinistra (come quella delle pensioni, le privatizzazioni selvagge, l’introduzione della flessibilità, ovvero precarizzazione, nel mercato del lavoro, ecc.). Berlusconi ha amministrato se stesso più che l’Italia, eppure questa sua narrazione ha stregato i suoi ‘follower’ (e non soltanto) per oltre trent’anni.