Monsanto, ultimo capitolo. Non solo perché la corporation più odiata del pianeta, nei primi posti di tutte le bad reputation lists, di fatto non esiste più con quel nome dopo l'acquisizione da parte della Bayer nel giugno scorso, ma perché le sta piovendo addosso l'ennesima accusa. E riguarda sempre il suo prodotto di punta, il Roundup, il diserbante più venduto al mondo da oltre 40 anni: l'elemento che ne è alla base, il glifosato, sarebbe letale per le api, o almeno per molte di esse.
Non c'è sostanza chimica più criticata e al tempo stesso più controversa del glifosato. È accusato da decenni di quasi tutti i mali, dal Parkinson all'Alzheimer, all'inquinamento delle acque, ma in particolare del male peggiore: il cancro. Migliaia di attivisti, associazioni ambientaliste, ricercatori più o meno accreditati si battono per il divieto di vendita. Sono stati promossi innumerevoli studi, eppure non è stata trovata una chiara evidenza scientifica sull'effetto cancerogeno del prodotto.
Come capo d'accusa rimane in piedi la relazione del 2015 dello IARC, International Agency for Research on Cancer, una branca dell'OMS. Un istituto molto autorevole, ma i cui rilievi sul glifosato sono tiepidi. L'elemento viene infatti classificato come “potenzialmente cancerogeno”, nella stessa categoria della carne rossa e delle bevande calde a 65 gradi. E proprio sulla base di questa relazione nell'agosto scorso Monsanto ha subito una pesantissima sanzione: il tribunale di San Francisco l'ha condannata a un risarcimento di 289 milioni di dollari nei confronti di Dewayne Johnson, un giardiniere 46 anni che si è ammalato di tumore e ha accusato la multinazionale di Saint Louis, nel Missouri, di esserne la causa, per non aver scritto sull'etichetta i rischi di cancerogenesi. Una condanna che è caduta come una mannaia sulla tedesca Bayer che due mesi prima, nel giugno 2018, aveva acquisito la Monsanto con un’operazione da 63 miliardi di dollari.
E ora un nuovo pesante colpo all'immagine e forse alle casse, del gruppo Bayer-Monsanto. Un recentissimo studio dell'Università del Texas, ad Austin, ha evidenziato un nesso diretto tra la moria mondiale di api, e l'uso massivo di Roundup - circa 700 mila tonnellate all'anno - da parte di agricoltori, enti privati e pubblici e singoli cittadini. Il glifosato, mirato a colpire gli enzimi delle piante per impedirne la riproduzione, colpisce anche il microbioma intestinale delle api, cioè l'ecosistema interno costituito da batteri, con l'effetto di esporre gli insetti con minori difese agli agenti patogeni.
Potrebbe quindi essere questa, se non la causa principale, una delle ragioni più importanti per l'impressionante calo del numero di api, osservato e patito da tutti gli apicoltori. La conseguente riduzione della produzione di miele è solo il secondo problema. Il primo vero allarme è per l'enorme impatto che questa strage avrà, se non si pone rimedio, sull'agricoltura. Pochi immaginano che il 75% delle colture del pianeta vedono il contributo delle api, il più efficiente e capillare agente impollinatore del globo. C'è il rischio che il sistema agroalimentare, come lo conosciamo, cambi in modo profondo. Potremmo non avere più l'attuale varietà di frutta e verdura, né caffè o cioccolato.
Informazioni che dovrebbero dovuto far salire di tono lo scontro all'interno all'Unione Europea accesosi a fine 2017. Il Parlamento europeo decise che il glifosato doveva gradualmente scomparire dai campi e dai giardini del vecchio continente fino all’eliminazione totale nel 2022. Ma l'assise di Strasburgo fu subito dopo sconfessata dai 28 che, incapaci di una posizione comune, decisero per una proroga di altri 5 anni del pesticida più famoso e discusso al mondo.
Questo articolo è stato precedentemente pubblicato su TUTTOGREEN