Pur avendo un obiettivo redistributivo, crea numerose criticità la tassa annunciata sull’incremento del margine d’interesse delle banche, ossia la differenza tra interessi attivi percepiti dalle banche sugli impieghi e gli interessi passivi pagati sulla raccolta ai depositanti.
In economia il fenomeno di quelli che sono definiti impropriamente “extraprofitti” è noto e prende il nome di ‘deposit franchise’: in una fase di restrizione monetaria i tassi sui depositi bancari crescono molto poco a confronto di quelli sugli impieghi e degli altri tassi di mercato.
Questa circostanza dipende dallo scarso potere di mercato dei depositanti rispetto a quello delle banche, dalla concorrenza imperfetta che caratterizza il settore creditizio, dalla situazione di liquidità del sistema e dal grado di educazione finanziaria dei risparmiatori.
È su queste cause che bisogna agire invece che creare distorsioni e minare la credibilità del sistema finanziario con una tassa mal disegnata (riscritta tre volte in una giornata), con seri problemi di legittimità (perché ex-post) e potenzialmente aggirabile.
La nuova norma evidenzia 4 criticità.
Primo. La tassa si applica solo alle banche italiane, creando un chiaro svantaggio competitivo rispetto alle aziende di credito straniere.
Secondo. La tassa non colpisce direttamente solo le banche ma indirettamente anche i loro azionisti e, soprattutto, i depositanti, che potrebbero vedere aumentare le commissioni pagate, e le imprese, che rischiano un aumento del costo del credito e una contrazione della sua disponibilità.
Terzo. La tassa sul margine d’interesse colpisce anche le cedole di tutte le obbligazioni detenute nei portafogli delle banche, incluse le obbligazioni pubbliche. In questo caso i titoli di stato di nuova emissione, che pagano interesse più alti, sarebbero penalizzati con potenziali ripercussioni sul collocamento dei titoli pubblici e impropri arbitraggi fiscali.
Quarto. Non è ancora chiaro chi saranno i beneficiari delle misure finanziate col gettito della tassa sugli extraprofitti.
Secondo l’economista Rony Hamaui, “in questo contesto si capisce quanto meno distorsiva e più duratura sarebbe stata una politica volta a stimolare la concorrenza sul mercato dei depositi e la consapevolezza dei depositanti che sul mercato oggi vi sono migliori opportunità d’investimento. Questo può avvenire con una maggiore trasparenza sulle condizioni applicate dalle banche. Quanti depositanti sanno oggi quale tasso viene applicato sul conto?”. E, possibilmente, “facilitando la portabilità dei conti, incentivando la crescita delle fintech che già oggi offrono depositi ben più remunerativi delle banche, e rendendo disponibili servizi di intermediazione con prodotti alternativi facili da acquistare e convenienti. Negli Usa ci sono i Money Market Mutual Fund, in Italia forse i vecchi Bot”.
Questo è quanto ci si aspetta da un governo di destra moderno, che ha promesso di non mettere le mani nelle tasche degli italiani.