Da anni ormai alcuni economisti delineano uno scenario prossimo non più dominato dal biglietto verde. Ma l’evidenza empirica sembra suggerire che tale rivoluzione non sarà rapida.
Ad oggi il dollaro conserva un’egemonia monetaria nel mondo, consentendo alla prima economia a livello globale di finanziare un deficit persistente della bilancia commerciale con l’afflusso di capitali dall’estero: in sostanza, gli americani vivono al di sopra dei propri mezzi, acquistando sui mercati internazionali più beni e servizi di quelli che sono in grado di vendere, cedendo in cambio titoli.
Perché allora l’egemonia monetaria del dollaro si troverebbe oggi su un crinale pericoloso? Andiamo per gradi.
Una moneta internazionale è una valuta utilizzata nei sistemi finanziari e nei mercati reali esteri al fine di assolvere ad almeno una delle tre funzioni associate alle monete nazionali: riserva di valore, unità di conto e mezzo di pagamento.
Dal secondo dopoguerra, il dollaro è stato considerato la moneta internazionale per eccellenza dato che ha costantemente mantenuto il primato in tutte e tre le funzioni.
Considerando la funzione di riserva di valore, la quota di riserve denominate in dollari tra il 1999 e il 2021 è diminuita dal 71% al 59%. Nonostante il dollaro mantenga saldamente il primato, il trend è decrescente. Allo stesso tempo, è importante notare come la Cina, malgrado la sua crescente rilevanza nel commercio internazionale, occupi ancora un ruolo modesto come asset di riserva.
Rispetto alla funzione di mezzo di pagamento, alla fine del 2021 il 76% dei pagamenti effettuati attraverso la piattaforma Swift erano denominati in dollari ed euro. Attualmente, lo yuan transa circa il 2,7% dei pagamenti Swift ed è il quarto mezzo di pagamento internazionale dopo la sterlina britannica.
Infine la funzione di unità di conto. Nel continente americano l’utilizzo del dollaro nei mercati internazionali reali è pressoché totale. Nonostante l’importanza di Paesi come Giappone, Cina e Corea del Sud nel commercio asiatico, la valuta statunitense è ampiamente utilizzata (circa il 74%). La tendenza è simile anche in Africa e nel resto del mondo. C’è solo un caso in controtendenza: in Europa l’euro mantiene il primato come unità di conto per gli scambi internazionali.
Dal punto di vista finanziario, c’è un altro indicatore interessante: si tratta della denominazione degli strumenti di debito emessi sui mercati finanziari internazionali: la quota di obbligazioni (pubbliche e private) denominate in dollari sono al primo posto e, peraltro, in rilevante aumento negli ultimi anni.
In sostanza, la solidità del dollaro si regge sempre più sulla liquidità dei mercati finanziari denominati in dollari. Dove gli Stati Uniti mantengono un primato indiscusso è nella capacità di fornire al resto del mondo attività finanziarie che costituiscono un rifugio sicuro per il risparmio globale. La guerra in Ucraina offre un esempio plastico: in conseguenza del conflitto, il dollaro si è apprezzato rispetto a tutte le principali valute del mondo, proprio per effetto delle massicce fughe di capitali verso gli Stati Uniti.
Ma si tratta di un crinale pericoloso. Infatti, ciò che consente oggi agli Usa di mantenere il loro primato è il rialzo aggressivo dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve (Fed), che risponde al duplice scopo di attrarre capitali, offrendo agli investitori internazionali un elevato rendimento sui titoli denominati in dollari, e di combattere l’inflazione.
Non si tratta, tuttavia, di una misura indolore. Le altre banche centrali sono costrette a seguire la Fed nella stretta monetaria, se non vogliono che le proprie valute si svalutino, aggravando l’inflazione. A sua volta, però, il rialzo dei tassi mette in difficoltà i debitori più esposti e più fragili. Non soltanto nelle economie emergenti, ma anche in Europa.
Il problema - come insegna Gramsci – è che l’egemonia implica non soltanto il dominio, ma anche la capacità di mantenere il consenso, facendo apparire a tutti i vantaggi del mantenimento dell’ordine costituito.