L’andamento dell’inflazione nell’Eurozona e negli Stati Uniti è molto diversa. Lo ha indicato la presidente della Bce. “Non stiamo navigando alla stessa velocità, negli Usa il tasso di inflazione è al 6,2% a ottobre, da noi al 4,1% e se si escludono i prezzi di energia e alimentari il tasso è del 4,6% negli Usa e del 2,1% nell’Eurozona, per noi sopra il nostro obiettivo ma a un livello gestibile”, ha detto Christine Lagarde.
E le prospettive a breve-medio termine – secondo Francoforte - non sono preoccupanti. L’inflazione nell’Eurozona rallenterà nel 2020 ma occorrerà più tempo di quanto originariamente atteso affinché ciò avvenga. Lagarde ha inoltre specificato che la durata delle strozzatura negli approvvigionamenti all’industria (catene globali del valore) è incerta.
In realtà, tra le due prime banche centrali al mondo (Fed e Bce) c’è un allineamento piuttosto evidente. Indipendentemente da quanto crescerà l’inflazione negli Usa, nel momento in cui la Federal Reserve opterà per un aumento dei tassi di interesse, la decisione non potrà lasciare indifferente la Banca centrale europea.
Inoltre, a fronte di una probabile riduzione nei prossimi mesi degli attuali esorbitanti costi dell’energia, i colli di bottiglia nelle catene globali del valore non è detto che saranno facilmente risolti. Semplicemente, perché i paesi esportatori di materie prime e semilavorati (a cominciare dalla Cina) hanno capito che possono sfruttare quelle risorse determinanti per i paesi avanzati anche in chiave geopolitica. E, qui, l’economia in quanto tale c’entra meno.