Qualcuno lo chiama “Flopperoo”, ossia il flop della Ipo di Deliveroo, uno degli esordi più negativi alla Borsa di Londra. Alla fine si è chiuso a 2,87 sterline per azione, in calo del 26% rispetto al fondo della forchetta di collocamento da 3,9 a 4,6 sterline, con un valore di mercato inizialmente previsto tra 8,9 miliardi di euro e 10,3 mld. Gli investitori non si sono scaldati e in prospettiva sono stati già bruciati 2 miliardi di valutazione nell’Ipo che ha collocato un quinto delle azioni di Deliveroo: in totale, 1,17 miliardi di euro nelle casse della società e circa 600 milioni per gli investitori, inclusi clienti che hanno comprato azioni tramite la app.
Il modello di business non convince fondi e banche di investimento: e cioè i cosiddetti “rider” che consegnano cibo a domicilio in bici pagati a cottimo, senza welfare, copertura sanitaria e altri diritti. La recente sentenza per gli autisti Uber a Londra, cui sono stati riconosciuti ferie e contributi, ha segnato un solco: lo stesso potrebbe capitare a Deliveroo. E come Uber, l’azienda britannica fondata nel 2013 dal 41enne Ceo statunitense Will Shu non è ancora riuscita a registrare un bilancio in utile.