
Il sistema di welfare britannico costa troppo e “non è sostenibile sul lungo termine”, ha dichiarato in Parlamento Liz Kendall, ministro del Lavoro e delle Pensioni, presentando l’atteso piano di riforma che porterà a risparmi di 5 miliardi di sterline all’anno entro il 2030.
I sussidi per la disabilità di circa un milione di persone verranno ridotti o tagliati nei prossimi anni per chi ha problemi di salute mentale meno gravi o patologie fisiche di minore entità.
I criteri di ammissibilità saranno più rigidi per incentivare queste persone a trovare un lavoro, mentre chi ha problemi di salute gravi e non risolvibili manterrà il diritto ai sussidi senza essere soggetto a verifiche.
Le modifiche al welfare sono necessarie secondo il Governo sia per motivi economici, dato che il costo del sistema assistenziale è lievitato negli ultimi anni, sia per ragioni sociali, dato che il grande numero di persone che ricevono sussidi e non hanno mai lavorato rappresenta un problema crescente.
La riforma, tuttavia, rischia di portare alla prima ribellione interna al partito da quando il Labour è andato al Governo la scorsa estate. Numerosi deputati e anche alcuni ministri hanno espresso il loro disagio per la decisione di tagliare i sussidi alle persone più povere e vulnerabili, e ritengono che sarebbe preferibile imporre una tassa sui super ricchi.
Il sistema di welfare attuale va riformato perché ha “incentivi perversi”, concedendo sussidi più generosi a chi non lavora per ragioni mediche rispetto a chi ha perso o non trova lavoro: un adulto su dieci in Gran Bretagna riceve sussidi.
In particolare, il costo dei sussidi per disabilità, che era di 28 miliardi di sterline all’anno prima della pandemia, è ora di 52 miliardi e secondo le previsioni ufficiali salirà oltre quota 70 miliardi entro il 2029 se non ci saranno interventi.
Un altro dato preoccupante riguarda i giovani: negli ultimi vent’anni il numero di persone tra i 16 e i 24 anni che ricevono sussidi di disabilità per problemi di salute mentale è aumentato in modo esponenziale da 360mila a 1,28 milioni.
Questa tendenza, che si è aggravata durante e dopo la pandemia, rischia di creare una generazione di giovani che non hanno mai lavorato e per i quali sarà sempre più difficile trovare un impiego se non sono mai entrati nel mercato del lavoro.