È da settimane che i mercati si pongono due domande: la cura da cavallo somministrata dalle banche centrali a suon di rialzi dei tassi sta abbassando la febbre da inflazione? È possibile immaginare che d’ora in avanti le banche centrali (a partire dalla Federal Reserve statunitense) possano ridurre le dosi di medicina?
Martedì (13 novembre) è arrivata una prima risposta. Ed è affermativa: sì, la cura da cavallo sta producendo i suoi primi effetti (ma rispetto ad esempio all’Europa l’aumento del livello dei prezzi al consumo deriva dall’incremento della domanda e non da una riduzione dell’offerta). Le forti strette della Banca centrale americana sembrano dare i loro frutti: il rallentamento dei prezzi è più marcato delle aspettative, pur restando su livelli (+7,1%) ben superiori a quello auspicato del 2%.
L’andamento dell’inflazione si collega alle aspettative sui tassi. La palla si sposta, dunque, nel campo delle banche centrali (non solo Fed e Bce si riuniscono in questi giorni, ma anche le banche centrali di Svizzera, Regno Unito e Giappone).
Per il presidente Joe Biden ci sono “motivi di ottimismo”. Ma “voglio essere chiaro - aggiunge - ci vorrà del tempo per riportare l’inflazione a livelli normali. Mentre effettuiamo la transizione verso una crescita più stabile, potremmo vedere anche battute d’arresto lungo il percorso. Non dovremmo dare nulla per scontato”.