Il Giappone ha avviato in parte l’uscita dalla lunghissima fase di politiche monetarie ultra-espansive, aumentando il tasso di interesse di riferimento che passa da -0,01 per cento a un intervallo compreso tra 0-0,1 per cento.
È la prima in ben 17 anni che la ex terza economia al mondo, ora quarta, superata da poco dalla Germania, opta per un ritocco dei tassi verso l’alto, seppur lievemente.
La decisione presa dalla Banca centrale nipponica, che è scaturita in seguito all’aumento dei salari (che dovrebbe spingere i consumi), a sua volta indotto dall’incremento dell’inflazione, è significativa, anche perché il Giappone era l’ultimo paese ad aver mantenuto il tasso di interesse sotto le zero.
La Bank of Japan (BoJ) non alzava i tassi dal febbraio del 2007 e li aveva portati in territorio negativo nel 2016. Ha fatto sapere che la politica monetaria resterà accomodante: non è quindi l’inizio di un ciclo di inasprimento del tipo visto negli Stati Uniti e in Europa.
Del resto, è stato raggiunto l’obiettivo di inflazione (2 per cento), inseguito per decenni, ma la dinamica dei prezzi non ha mai assunto i tratti allarmanti visti nelle grandi economie avanzate e mostra già segni di raffreddamento.
Ancora una volta, il Giappone si conferma un’eccezione nel panorama mondiale. Dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, quasi tutte le Banche centrali hanno avviato una stretta sincronizzata e senza precedenti sui tassi, per spegnere la fiammata dei prezzi.
Tokyo restava, invece, fedele al suo orientamento ultra-espansivo. Al suo picco, l’inflazione in Giappone è andata poco oltre il 3 per cento. Ora, quando il resto del mondo ha ormai fermato il ciclo degli inasprimenti, la BoJ va ancora in controtendenza.