È morto la sera del 22 gennaio a Cagliari il più grande centravanti del calcio italiano: artefice di uno scudetto improbabile con il Cagliari (una delle più grandi imprese sportive di sempre), miglior cannoniere di sempre in maglia azzurra, uomo che ha detto no al potere.
Gigi Riva non era cagliaritano. Era nato in provincia di Varese, dove il calcio lo aveva salvato da un’infanzia segnata da lutti dolorosi. Di quelli che ti fanno passare la voglia di ridere.
A Cagliari ci arriva per caso, in Serie B. E subito se ne vuole andare. Invece non se ne andrà mai più. Porta la squadra in Serie A. Si ferma per un infortunio, poi torna in campo, e torna il Cagliari nell’alta classifica, e torna l’Italia a vincere: campioni d’Europa nel 1968 grazie ai gol di Riva.
Di lui si accorge anche Giampiero Boniperti, che tenta di portarlo alla Juventus. Ma Riva sta bene in Sardegna. Quella terra dura e spigolosa, capace di rivelarsi tenera e accogliente con chi lo merita, si adatta al suo carattere. È il gran rifiuto, il primo di una serie.
Riva dice senza mezza termini che vuole giocare per quella terra e non per i padroni. Le parole che usa sono le stesse che in quegli anni di assalto al cielo si sentono nelle fabbriche e nelle piazze.
Gianni Brera scomoda il Risorgimento. Ma Riva non si è mai atteggiato a capopopolo, a eroe risorgimentale. Dopo lo scudetto Riva trascina a suon di gol la Nazionale al secondo posto ai Mondiali di Messico 70.
Boniperti torna all’attacco, ma lui rifiuta di nuovo. Il 25 ottobre del 1973 segna un’incredibile punizione a San Siro contro l’Inter. È allora che Brera lo ribattezza Rombo di Tuono.
A ventinove anni la carriera del più grande cannoniere italiano è finita. Non finisce l’amore di Riva per la Sardegna e per Cagliari.