Nel mondo si producono circa 330 milioni di palle da tennis l’anno, per un fatturato che l’anno scorso ha superato i 1,42 miliardi di dollari e che è previsto in crescita del 40 per cento entro il 2030, grazie all’aumento della popolarità di questo sport.
I principali produttori, dopo gli Stati Uniti, sono Cina (33 per cento dell’ export globale) e Thailandia (31), con un traffico marittimo che due anni fa ha riempito 173 mila container.
Secondo la Federazione internazionale del tennis (Itf), ogni pallina dev’essere realizzata con una proporzione fissa di 72 a 28 tra gomma naturale e sintetica: così si stanno deforestando Thailandia e Indonesia, dove si trovano le piante da dove estrarre la gomma.
Poi c’è l’impronta di carbonio della gomma sintetica: la filiera dei componenti può portare una pallina da tennis a percorrere 80 mila chilometri attraverso 11 Paesi prima di essere giocata.
Infine, lo smaltimento che prevede due opzioni: in discarica (solo negli Stati Uniti, 125 milioni di palline l’anno) dove impiega 4 secoli a decomporsi, oppure negli inceneritori.
Non stupisce, dunque, se molti si interrogano su come ridurre l’impronta ecologica delle palle da tennis usate. Alcune imprese le triturano per produrre pavimenti, mentre nei Paesi Bassi è nata Renewaball, la prima palla realizzata con materie riciclate e a filiera corta.
Il produttore leader negli Usa, Wilson, ha lanciato Triniti, una palla che resta “fresca” quattro volte più a lungo, e ha lanciato il progetto no profit Recycle Balls per riutilizzarle. Idee per non rischiare di giocarci la Terra.