Il violento attacco lanciato da Hamas contro Israele non ha paragone con alcuna precedente offensiva partita dalla Striscia, non solo per le migliaia di missili piovuti dal cielo in poche ore sullo Stato ebraico (fondato nel 1948), ma soprattutto per l’infiltrazione in profondità dei miliziani di Hamas in 22 località israeliane intorno ai confini con Gaza, riuscendo persino a prenderne il controllo per qualche ora.
Il bilancio è devastante: centinaia di morti e migliaia di feriti (da ambo le parti). E circa 150 ostaggi (militari e civili), brutalmente prelevati e trasferiti nella Striscia. In molti – tra gli osservatori – si dicono sorpresi dall’intensità dell’attacco ma occorre considerare che la tensione tra i due popoli, ora alle stelle, non si è mai sopita, alimentata da attacchi reciproci che hanno visto i palestinesi subire maggiori perdite: dall’inizio dell’anno ne sono morti oltre duecento.
L’attacco, evidentemente studiato da tempo e sostenuto apertamente dall’Iran, nemico storico di Israele, è partito sia per terra che via mare e dall’aria (con mezzi rudimentali) e si inserisce in un contesto nel quale il possibile storico accordo tra Israele e Arabia Saudita (per lungo tempo Riad ha sostenuto le ragioni palestinesi) rischia di mettere in secondo piano la questione del Paese senza uno Stato, frustrando (definitivamente?) le sue legittime aspirazioni.
Il conflitto tra Israele e Palestina - ovvero tra coloro che hanno uno Stato contro coloro che uno Stato non lo hanno mai avuto e che sono relegati tra Cisgiordania e Gaza (di fatto, quest’ultima è una prigione a cielo aperto) – potrebbe ora allargarsi. La Striscia sarà rasa al suolo? E poi: cosa faranno gli altri Paesi della regione medio-orientale e i principali alleati della nazione israelitica a cominciare dagli Stati Uniti (che per il Paese da circa 9 milioni di abitanti è tra l’altro il primo partner commerciale)?