
La protesta degli agricoltori monta da giorni in mezza Europa. Con quelli francesi e tedeschi in testa. Il primo ministro transalpino Gabriel Attal ha annunciato il 26 gennaio alcune misure urgenti, tra cui la rinuncia ad aumentare la tassa sul gasolio per i trattori, il rafforzamento degli indennizzi per gli allevatori e pesanti sanzioni contro tre aziende del settore agroalimentare accusate di non aver rispettato la legislazione sui prezzi.
I sindacati considerano però queste misure insufficienti. Gli agricoltori francesi avanzano infatti varie rivendicazioni, tra cui la semplificazione delle procedure amministrative, la rinuncia a introdurre nuovi divieti per i pesticidi, il blocco degli aumenti di prezzo del gasolio per i trattori, la piena applicazione della legge che obbliga il settore agroalimentare a pagare di più gli agricoltori e risarcimenti più rapidi in caso di disastri naturali.
Parlando di agricoltura occorre fare alcune precisazioni. La prima è che occorre distinguere i piccoli agricoltori (che il più delle volte puntano sulla qualità piuttosto che la quantità) dai medio-grandi (che invece guardano tendenzialmente a ingrossare i fatturati con la quantità). Ciò detto, tra le rivendicazioni emerse in questi giorni alcune non sono condivise dalle istituzioni europee, quelle in particolare che puntano a un’agricoltura chimica e troppo poco “ambientalista”. In tal senso, il settore agricolo continua a evidenziare un ritardo anche culturale rispetto alla comprensione dell’urgente necessità della transizione ecologica ed energetica.
In un certo senso, gli agricoltori sembrano aver sbagliato il bersaglio: i loro nemici non sono gli ambientalisti, bensì le aziende (soprattutto le multinazionali) della distribuzione alimentare che massimizzano i loro (ingiustificati) profitti, puntando sulla compressione ai minimi termini dei redditi degli agricoltori e rivendendo la merce al dettaglio a prezzi perlopiù gonfiati. È qui il cuore del problema.