Una pianta di arabica produce mediamente 450-900 grammi di caffè l’anno. Questo significa che chi beve due tazzine al giorno ha bisogno della produzione di almeno venti piante di caffè (sempre su base annua).
Ma, considerando una serie di fattori tra cui la deforestazione di massa, le condizioni di povertà dei lavoratori, e l’inquinamento legato alle emissioni nocive, metà dei terreni destinati alla coltivazione saranno inutilizzabili entro il 2050. In Brasile, la percentuale può raggiungere l’88 per cento.
Ecco perché alcuni grandi produttori di caffè stanno utilizzando biotecnologie per rimpiazzare i prodotti naturali con qualcosa che mantiene lo stesso gusto. Il primo approccio è quello dei sostituti naturali: lo pseudo-caffè può essere ricavato dalla lavorazione di una serie di ingredienti, inclusi ceci, datteri e scarti agricoli o il più esotico seme di Ràmon conosciuto sin dai tempi dei Maya. Altre società preferiscono coltivare direttamente in laboratorio piante da caffè, sfruttando dei bioreattori in maniera analoga a quanto succede per i principi attivi dei medicinali.
Il finale appare già scritto: quando il caffè diventerà sempre più scarso, i prezzi saliranno, e allora i consumatori probabilmente passeranno in massa a quello più economico (quello ‘pseudo’ e quello artificiale). Soprattutto in quei prodotti in cui il caffè è solo un ingrediente del mix.
Lo stesso succederà per il cacao, non è un caso che in questi mesi i future di queste due materie prime sono al centro di rialzi stellari.