Oggi non sembra esserci né un’istituzione né una personalità morale o politica che possa superare questa difficile condizione del mondo in cui le rivalità tra le superpotenze si stanno progressivamente intensificando. Non c’è intesa nemmeno su un impegno contro i pericoli comuni a tutta l’umanità, come per esempio il cambiamento climatico. Su una cosa sembra esserci intesa: un generalizzato riarmo.
L’Asia, terra di intense rivalità strategiche, è diventata il continente che spende di più per le armi, dal Giappone all’Australia, da Taiwan alla Cina, dalle Coree all’India e all’Indonesia: miliardi di dollari investiti per preparare le prossime guerre e non lo sviluppo umano “armonioso” del futuro, per riprendere un’espressione vicina a chi è confuciano (ma solo a parole). Ad esempio, nell’ultimo ventennio le spese militari sono aumentate del 440% in Cina, del 169% in Russia, del 58% negli Stati Uniti, del 22% nel Regno Unito. L’Italia è l’unico grande paese ad avere diminuito la spesa militare, di circa il 9%.
Alcuni osservatori ritengono che questa fase di ridefinizione dei rapporti di forza dovrebbe comportare la fine di un mondo dominato dai paesi occidentali. Probabilmente, questo dominio è già arrivato a conclusione. In gioco, invece, c’è ancora la globalizzazione, la cui ultima fase è stata dominata dalla Cina, divenuta negli ultimi trent’anni la “fabbrica del mondo”.
L’occidente si ritrova così oggi a pagare (come spiega efficacemente Pierre Haski su Internazionale) il conto del suo dominio coloniale, una ferita mai rimarginata, ma anche la sua arroganza nell’aver continuato a pensare – fino agli inizi del ventunesimo secolo, dall’Afghanistan all’Iraq e alla Libia – di poter ‘civilizzare’ il resto del mondo. E prima di queste guerre fallite c’erano state le operazioni per rovesciare i capi di governo progressisti, come ad esempio Mohammad Mossadeq in Iran nel 1953 e Salvador Allende in Cile nel 1974.
Ora l’Europa, alle prese con il conflitto in Ucraina, si stupisce perché numerosi paesi non condividono la sua indignazione davanti al cinismo di Vladimir Putin. Sarebbe forse meglio guardarsi allo specchio - suggerisce Haski - e ripensare un mondo che non funziona più secondo le regole dettate dalla civiltà occidentale.