Lavorano senza limiti di orario. Non fanno pause e non si ammalano. Siamo nel mondo dei robot. Una volta erano materiale da film di fantascienza. Oggi una realtà consolidata: ben 2,5 milioni sono già in attività e il loro numero raddoppierà nel 2025. Secondo l’Ocse, il 14% delle occupazioni sarà sostituito dalle macchine, ma la forbice varia sensibilmente da paese a paese. La chiave è la formazione e chi si rimette in gioco troverà (probabilmente) un lavoro migliore di quello perduto.
“Appare quindi cruciale, per il futuro, il ruolo dei fattori istituzionali, quali le politiche pubbliche, la formazione e la natura delle relazioni industriali, che possono influenzare sia gli incentivi delle imprese a robotizzare, sia gli effetti dei robot sulle varie categorie professionali - spiegano Mauro Caselli, Andrea Fracasso e Sergio Scicchitano in un contributo pubblicato su lavoce.info -. Il cambiamento tecnologico nella forma della robotizzazione non è infatti neutrale, spiazzando alcuni lavoratori e favorendone altri. È compito del decisore pubblico e dei protagonisti del sistema industriale indirizzarne gli effetti a beneficio di tutti.”
Una valutazione, quest’ultima, che ci riporta al punto centrale: ci dobbiamo preoccupare ad esempio in Italia dell’assenza di una politica industriale piuttosto che ipotizzare quanti posti di lavoro saranno bruciati dalla robotizzazione diffusa dei processi aziendali e professionali.