Il reddito? Lo dichiariamo via Twitter

La valutazione delle politiche si ferma davanti alla scarsa disponibilità di dati amministrativi. Ma ha ancora senso invocare la privacy al tempo dei social network?

Il reddito? Lo dichiariamo via Twitter

Partiamo dal principio. La valutazione delle politiche pubbliche, condotta secondo i più recenti metodi condivisi dalla comunità scientifica internazionale, necessita dei cosiddetti microdati, ovvero dei dati riferiti ai singoli agenti economici. La pubblica amministrazione italiana ne conserva una quantità enorme: dichiarazioni dei redditi, carriere scolastiche, consumi energetici familiari, ecc. Ma è un giacimento in larga parte inesplorato.

Se i dati sono il petrolio del ventunesimo secolo, le riserve nazionali sono gelosamente custodite, in nome della riservatezza. Eppure, oggi in Italia ci sono più di 36 milioni di utenti Facebook, 29 di Instagram, 21 di Linkedin, 11 di Twitter, 9 di Tik Tok. Ha, dunque, senso limitare l’accesso ai dati amministrativi nell’epoca dei social network? In effetti una prima evidenza empirica mostra quanto il contenuto informativo condiviso spontaneamente sulle piattaforme contribuisca a predire con accuratezza il reddito individuale, una delle variabili sulle quali il pudore delle istituzioni resta massimo.

Guglielmo Barone e Marco Letta fanno riferimento ai dati presi da uno studio del 2015, relativi a 5.191 utenti Twitter di cui conosciamo il reddito (ma non la ricchezza), ad alcune caratteristiche demografiche facilmente osservabili nella vita di tutti i giorni (genere, etnia, età), e a circa 250 variabili che hanno a che fare con l’utilizzo di Twitter (che includono sia caratteristiche del profilo, sia informazioni sui contenuti relativi all’attività sulla piattaforma). Sono definiti “ad alto reddito” gli individui il cui reddito è nel top 10% della distribuzione. Barone e Letta hanno, quindi, applicato diversi algoritmi di machine learning per predire lo status di persona “ad alto reddito” con un risultato stupefacente: in 8 casi su 10 può facilmente essere individuato come tale solo sulla base dei contenuti che condivide.

“Il nostro esercizio suggerisce, con le dovute cautele legate alla semplicità di una prima analisi, che è proprio vero che le informazioni che disseminiamo sui social network accrescono significativamente la capacità, per un osservatore esterno, di predire persino una variabile sensibile quale il reddito – spiegano Barone e Letta -. La normativa, dunque, protegge gli individui da rischi che loro stessi, a volte, sono ben lieti di correre. In un’epoca in cui i social network sono così diffusi, i loro contenuti così eloquenti e l’interesse pubblico alla valutazione delle politiche massimo, è opportuno ripensare all’equilibrio tra privacy e trasparenza permettendo la fruizione dei dati amministrativi da parte del mondo della ricerca. È possibile farlo con le dovute tecniche di anonimizzazione dei dati, seguendo l’esempio di alcune esperienze straniere virtuose e, soprattutto, superando le resistenze, a volte puramente culturali, delle amministrazioni.”

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